Impressioni tra Philadelphia e Fustat

di Eno Santecchia – 

Un viaggio tra passato e presente.
Philadelphia è il nome romano dell’attuale Amman, El Fustat (l’accampamento) è il nome dato al Cairo, alle sue origini, dal generale arabo Amr Ibn el-As, agli ordini del califfo Omar (642 d. C.).

Guide e lingue

Oramai le guide turistiche sono zeppe d’informazioni di ogni tipo, e non più generaliste: ognuno può scegliere ciò che più si addice al proprio stile di viaggiare. Io preferisco quelle National Geographic, ricche di notizie storiche e archeologiche: contengono anche cenni al modo di viaggiare dell’Ottocento. Ho apprezzato anche quella Lonely Planet della Giordania. Tuttavia non è detto che non si possa aggiungere qualche notizia spicciola, priva di discorsi articolati e complessi. Magari qualcuno ci trova velocemente ciò che gli serve, senza cercare in decine di pagine. Per conoscere qualche semplice notizia non è piacevole essere costretti a leggere capitoli e capitoli. Si sa che l’informatica ha reso pigri nella ricerca e nella lettura.

Devo dire che alla mia modesta predisposizione linguistica in generale, e all’inglese in particolare, peraltro studiato diversi anni, sopperisco con tanta volontà e buone conoscenze storico-geografiche, di cultura generale e degli usi e costumi. I miei desideri di scoprire, sapere, conoscere e apprendere non sono tarpati. In questo tipo di viaggi, a me graditi, una forte energia mi sorregge.

Ho notato molto spesso che tanti cittadini comuni da me avvicinati e interpellati parlano anche inglese o altra lingua europea, ma non lo leggono o scrivono altrettanto bene. Una mia lettrice e conoscente, ad esempio, parla il russo abbastanza bene, ma non conosce l’alfabeto cirillico e, quindi, non lo legge, né lo scrive. Ecco perché diverse domande, pur correttamente formulate, non hanno avuto una risposta soddisfacente. C’è anche un altro motivo: tantissime persone a cui mi sono rivolto – ingenuamente, ma anche per socializzare e comunicare – non hanno una base di cultura generale sufficiente per parlare di vicende storiche, archeologiche e spesso neanche naturalistiche, della terra in cui vivono. Anche le guide in lingua italiana, a volte, hanno difficoltà a scrivere nella lingua di Dante. Quando ho avuto per risposta, indicazioni insufficienti, non è stata sempre colpa mia. Ma non mi sono arreso: dopo le necessarie ricerche, le mie curiosità sono state per la maggior parte chiarite.

Un’ombra nera si è allungata sull’Occidente

Nel mese di aprile 2016 avevo accennato a pochissime persone del mio viaggio culturale del quale andremo a raccontare. Quasi nessuno – compresi i familiari – ha anteposto le bellezze e l’interesse dei luoghi alla pericolosità contingente dell’itinerario che sarei andato a percorrere da solo, dopo aver prenotato unicamente il volo e i due alloggi. Molto poche furono anche quelle che lo avrebbero compiuto in modalità completamente organizzata da un tour operator, con tutte le tappe bene scandite e l’accompagnamento assiduo di una guida parlante italiano.

Dopo le stragi di Parigi, Bruxelles e il caso Regeni tanta è la suggestione negativa iniettata dai mass media negli europei con gli attentati operati dai fanatici dell’autoproclamato stato islamico ISIL (Daesh) e dai suoi adepti ed emuli sparsi nei vari continenti, come Al Nusra, Boko Haram, Al Shabab, Al Qaeda ecc. Ciò ha fatto segnare il passo anche ai viaggi in aereo in Europa, persino alle gite scolastiche in pullman!

Una raccomandazione ben conosciuta dagli esperti, ma che vale la pena di ripetere: viaggiate leggeri. Io aggiungo: “Le molte nozioni e conoscenze lette non pesano e, al momento opportuno, vi saranno utilissime”.

Durante il mio lungo viaggio iniziale dal Maceratese ad Amman, seppure la distanza non superi i 3.500 km, ho incontrato varie persone con le quali ho dialogato piacevolmente e mi diverto qui a tratteggiare. Amo socializzare anche con persone non conosciute.

Sul treno Fabriano – Roma ho conversato amabilmente con un romano, pensionato delle ferrovie, amante delle Marche, che si reca spesso a Recanati, il quale aveva fatto una comparsa nel film “Il giovane favoloso” (2014) sulla vita del poeta Giacomo Leopardi.

All’aeroporto di Fiumicino, in una porta d’imbarco verso gli Stati Uniti ho dialogato un pochino con una bella signora americana di Filadelfia, dalla silhouette impeccabile, che amava le montagne degli Stati Uniti, la cucina italiana e viaggiava con il suo compagno molisano. La donna aveva appena trascorso una vacanza in Puglia insieme ad un gruppo di connazionali. Si era girata buona parte di quella regione pedalando in bicicletta ben otto ore al giorno insieme al suo gruppo composto di cittadini di Filadelfia e di Newark! Ecco il motivo della sua forma invidiabile. Mi ha detto che Filadelfia è una città dove si organizzano molti eventi culturali. Secondo lei Boston è meno attiva al riguardo.

Alla porta d’imbarco del mio volo per Amman ho dialogato con un’anziana che era diretta nientemeno che a Damasco. Era stata a Roma a trovare il figlio, docente di arabo e turco alla Sapienza. Da Amman proseguiva per la capitale della Siria con un aereo, per nulla intimorita di ritornare a casa, anche se perdura la guerra civile. Mi ha brevemente detto che Damasco è molto più bella e ricca di storia e palazzi rispetto ad Amman. Seppur deambulante, per superare le difficoltà della rampa di accesso all’aeromobile, la donna ha chiesto l’assistenza del personale dell’aeroporto.

Sull’aereo un riservato sacerdote, credo inviato della Santa Sede, si recava per la prima volta nella capitale giordana, dove non conosceva nessuno. Dotato di un tablet da dieci pollici, aveva quasi finito di leggere “La fede dei demoni. Il superamento dell’ateismo” di Fabrice Hadjadj, che sottolineava con una matitona rossa e blu, tipica degli insegnanti di una volta. Se non avessi notato il collarino bianco, avrei immaginato fosse una spia!

La Royal Jordanian usa posate inox come l’Egyptair, le sue vivande sono più semplici, non manca però l’olio di oliva per il condimento.

La guida Ghassan Shalasdeh aveva studiato da odontotecnico a San Benedetto del Tronto. Alla prima uscita mi conduce a fare un giretto ad Abdun, un quartiere nuovo e signorile di Amman. Un quartiere nato trenta anni fa, con molti iracheni ricchi fuggiti dal loro paese portando pregiata valuta che hanno investito; essi hanno ottenuto la cittadinanza giordana. Ghassan abita nel vicino e nuovissimo quartiere di Jasmine che ha preso il nome dall’impresa costruttrice Yasmeen.

Case e miniere

Le ville, le abitazioni unifamiliari e i palazzi, esclusi i grattacieli, sono costruiti con un calcare bianco proveniente dal deserto est della Giordania, nella zona di Azraq: mi appaiono eleganti. Quella pietra è anche un buon isolante, non serve neanche l’intonaco, ogni 20-30 anni è sabbiata per togliere l’annerimento dovuto allo smog. La tonalità della pietra cambia leggermente, può essere lavorata liscia o bucciata. La stessa pietra si usa anche a Gerusalemme, ed è un’importante risorsa per la Giordania.

Le case hanno i tetti a terrazzo, ove spiccano i grandi serbatoi d’acqua e le parabole. Sulle facciate dei palazzi e dei condomini spicca, a grandi caratteri arabi, il nome della ditta costruttrice. Principalmente in periferia e nei villaggi le abitazioni familiari hanno i pilastri pronti per innalzare di un piano l’edificio. Il padre abita a pian terreno e quando il figlio cresce, costruisce un altro piano e va a vivere di sopra.

In Medio Oriente le parabole per la ricezione satellitare si sono diffuse molto prima che in Italia; ad Amman, sui tetti, spiccano i serbatoi dell’acqua, mentre al Cairo i tetti a terrazzo, molto spesso, sono usati come soffitte a cielo aperto, vista la scarsità delle piogge.

Non distanti dal Wadi Rum, sembra il più bel deserto del mondo, nel sud del Paese, si trovano delle miniere di fosfati; questi, con treni merci, sono portati ad Aqaba, dove sono imbarcati per l’India, unico acquirente. Precedente acquirente era l’Iran, ma siccome contengono tracce di uranio, su richiesta degli USA è stato cambiato l’acquirente.

Durante gli spostamenti, da un qualcosa da vedere all’altro, Ghassan mi dice che i migliori vini giordani sono il “San Giorgio” e il “Monte Nebo”.

La rivolta contro l’Impero Ottomano

Sulle auto e i taxi della città sventolano innumerevoli bandierine giordane (senza stella), ma non rappresentano la bandiera nazionale, bensì quella della rivolta anti Porta Sublime del 1916, della quale si festeggia quest’anno il centenario. Famoso protagonista fu l’ufficiale inglese più conosciuto come Lawrence d’Arabia.

Ghassan mi accenna ad alcuni motivi che la causarono. Quella ribellione si scatenò anche per la tassazione troppo elevata e il servizio di leva obbligatorio, ma gli arabi non potevano fare carriera militare. Nelle scuole era imposto lo studio del turco, visto come una perdita dell’identità araba. I ribelli erano picchiati pubblicamente in piazza a Damasco. Così nel 1916 fu inviata una delegazione per chiedere aiuto allo Sceriffo della Mecca Al Husayn ibn Alì.

Altro argomento di conversazione di mio interesse sono i campi profughi in questa nazione, povera di risorse, ma accogliente. Nel centro – nord, dal 1948 al 1967, sono stati realizzati tredici campi per i palestinesi, 4-5 si trovano nei dintorni di Amman. Per i siriani scampati alla guerra civile sono stati creati nuovi campi, dapprima di tende, ora di prefabbricati, ove l’interlocutore asserisce siano abilitati gli acquisti di viveri con una tessera magnetica.

Una visita ci porta in campagna, dove scorre il fiume Jabuk di biblica memoria dalla bella corrente; le sue acque di color nocciola alimentano un bacino idroelettrico. In quel luogo Giacobbe, addormentato lungo la riva, fu assalito da uno sconosciuto.

A Jerash

Jerash, antica Gerasa romana, è un sito che non tradisce le aspettative dei visitatori: si presenta nella sua magnificenza già dall’iniziale arco di Adriano. È ben custodito e conservato, con un nutrito presidio di Polizia Turistica. Mi sento sollevato: la gramigna dei vandali distruttori non attecchirà!

Gerasa, definita la “Pompei d’oriente”, era una città completa. La guida mi dice che riportò danni minori in occasione del forte terremoto del 747 d. C. perché i resti erano parzialmente coperti dalla sabbia. Fu riscoperta nel 1806 dall’orientalista tedesco Ulrich Jasper Seetzen.

Che dire? Una meraviglia … le colonne, i capitelli jonici la piazza ovale di 80 metri di lunghezza x 70 di larghezza. Al centro della quale è stato posto un pilastro rimontato forse per il festival in costume, che si svolge ogni anno. Il cardo, i decumani, … curiosamente durante la visita durata alcune ore (il tempo che ci vuole) fotografo alcuni cardi spinosi in piena fioritura. La guida rimane sbalordita quando gli dico che sono molto graditi agli asini. Mi domando se c’è un nesso tra il nome del vegetale e la strada romana.

Di quella rievocazione storica (in costume) assai fedele ha scritto Jenny Walker. È da vedere: si ammirano i veterani del Reale Esercito giordano con indosso le uniformi della VI Legione romana. Quando un ufficiale ordina in latino: “Salutate le truppe”, fa comprendere quali sia stato il fascino esercitato da Roma in quelle terre soleggiate.

Ascoltando il mio italiano, un distinto signore mi rivolge la parola dicendomi che aveva studiato in Italia: è un diplomatico somalo addetto alle ambasciate di Arabia Saudita, Bahrein ed EAU. Aveva personale di scorta a seguito. Mi fa piacere che la mia lingua susciti simpatia e ammirazione.

In una sala degli uffici della biglietteria c’era un convegno della Polizia Turistica. Quando mi affaccio, un ufficiale superiore m’invita cortesemente a farmi dare una brochure dalla biglietteria; poi nel salone d’ingresso, un giovane secondo luogotenente impettito in divisa si fa fotografare, a patto di non metterlo su Facebook.

Nella sala del bar mi prendo un frullato di banana e latte e un bel gelato. Al tavolo c’è una signora italiana, moglie di uno scienziato al lavoro in Giordania, e un giordano che parla italiano. Si fa una piacevole conversazione a quattro sui fatti della Giordania, con pochi cenni all’Italia.



La signora, buona subacquea, dice che, pur essendo lo stesso mar Rosso e gli stessi meravigliosi fondali, tra Sharm el Sheick e Aqaba ci sono alcune differenze. Ad Aqaba, immergendosi, si notano troppi materiali abbandonati, colpa di una regolamentazione meno severa e dello sviluppo selvaggio iniziato dal 1998, quando è diventata zona franca. Sembra che gli abitanti siano passati da 20.000 agli attuali quasi 200.000.

Dopo averlo constatato personalmente, sento dire che Amman, dopo Dubai, è la città più cara del Medio Oriente. Le guerre hanno influenzato profondamente il costo della vita: molti ricchi iracheni hanno acquistato case e ville e investito, facendo lievitare il costo degli immobili.

Negli ultimi anni il turismo è diminuito a causa delle note guerre mediorientali, del terrorismo, suo figlio legittimo, e della crisi. Il traffico di Amman è intenso, si notano molti grossi SUV; le ore di punta sono dalle 15.00 alle 18.00, il venerdì ci si sposta benissimo, un pochino anche il sabato.

Ghassan mi fa notare che gli operai dipendenti (compresi i giardinieri che si vedono spesso) del Municipio di Amman indossavano tute da lavoro color arancione. Dopo la tragica morte del ventiseienne pilota Muad Kasasbeah, catturato e bruciato vivo dai miliziani di Daesh, per rispetto della famiglia sono state cambiate in verde.

Verso il castello di Saladino

Tra radi boschi di pini di Aleppo e oliveti, con qualche filare di vite allevata a terra, ad Ajilun spicca il castello di Saladino. L’attribuzione al sultano gli dà fama, ma in verità il castello è stato fatto costruire da Ezaldin Osama, nipote di Saladino. Dalla sua altezza domina le vallate adiacenti, peculiarità fondamentale, all’epoca, per contrastare il transito dei crociati.

Non fa piacere saperlo, ma i crociati hanno commesso parecchie “bischerate” (per divertirmi a usare un eufemismo toscano); la più grave è stata, dopo la conquista di Gerusalemme, la strage di circa 70.000 abitanti tra cui donne, bambini e religiosi. Di passaggio con una carovana nei pressi di Karak, i crociati rapirono la sorella di Saladino, il quale non se la prese per nulla bene.

Mentre ero seduto su un gradino di una scalinata interna alla fortezza, sento gli strilli dei bambini di una scolaresca in visita. Dietro di me, su per la scalinata, un custode aveva notato un serpente. Alcuni bambini fuggivano, altri volevano farsi avanti per vederlo, finché un addetto l’ha tolto di mezzo. Misurava oltre 80 cm.

Dalla parte più alta il panorama è stupendo, alcuni cartelli spiegano chiaramente cosa si può vedere all’orizzonte. Peccato che un traliccio di antenna, forse militare, con relativi tiranti, sia posizionato troppo vicino.

Il castello, con un grande fossato e un efficiente sistema di ventilazione naturale, è da visitare. C’è anche un posto di guardia della Polizia Turistica.

Escursione a Madaba, monte Nebo e mar Morto

Nel IX secolo avanti Cristo “La strada dei Re” univa i territori degli ammoniti di Amman, dei mohabiti che vivevano a Madaba e degli edumiti abitanti le coste del mar Rosso. Quell’antichissimo itinerario carovaniero fu utilizzato anche dai nabatei di Petra. Oggi è larga ma con molti dossi riduttori di velocità e semafori.

Madaba, l’antica Midaba, è una città con molti cristiani. Oggi ha circa 120.000 abitanti, un terzo del quale è ortodosso.

La prima visita è all’antica chiesa di San Giorgio. Nel pavimento è custodita la più antica mappa del Mediterraneo, un mosaico originariamente 17 x 10 m, oggi più piccolo; durante la Messa è coperto da tappeti per evitare il logorio. Il giorno della mia visita era affollata … da molti indiani! Uscendo Ghassan aveva saputo dall’autista del loro pullman che erano le maestranze in visita, originarie dello Sri Lanka, di una vicina industria di abbigliamento. La globalizzazione non smette di stupirmi!

Il mar Morto

Spettacolare la discesa nella più profonda depressione del mondo, quella del mar Morto, tra molto radi alberelli di acacia. Per non riscaldare i freni consiglio all’autista di inserire le marce basse; mi risponde che con quel tipo di cambio automatico è possibile.

Questo grande lago salato contiene il 33% di sale, contro il 7% dell’oceano, la sua acqua mi è apparsa scivolosa. Famosi anche in Europa i suoi fanghi curativi.

Il cielo è coperto, la guida dice che è causa della forte evaporazione, essa genera anche foschia. Quando il cielo è nuvoloso, l’evaporazione è minore, con il sole è al massimo.

Non ci sono spiagge libere, ci rechiamo ad “Amman Beach”, una spiaggia privata. Nella più profonda depressione della Terra c’è una temperatura di circa 12-13 gradi °C più elevata, rispetto alla capitale.

Morto sì, ma nei dintorni si coltivano ortaggi, verdure e frutta. Ritornando ad Amman sono assai numerosi gli autocarri medio-piccoli carichi di frutta e verdura diretti ai mercati. In una corta deviazione laterale la polizia stradale ha una pesa, dove controlla e sanziona il sovraccarico dei mezzi pesanti.

In sostanza tre strade collegano la capitale al sud e Aqaba: Wadi Araba, che costeggia il mar Morto, l’antica strada dei Re, che va da Madaba a Petra e poi sul mar Rosso, e la strada principale del Deserto a scorrimento veloce e per mezzi pesanti.

Quando mi reco da abuna Rashid, direttore del “Terra Santa College” (Jabal al Wibdah), nella sala di attesa ci sono ben sette uomini prima di me. Sulle pareti sono appese grandi foto afferenti eventi storici dell’istituto e dei frati guardiani. Il giovane Re Hussein compare in quasi tutte, riportandomi alla mia giovinezza: mi fa un gran piacere rivedere un giovane sovrano che guardavo sempre nella televisione in bianco e nero. Purtroppo le didascalie sono solo in arabo. Un signore, di sua iniziativa, si avvicina cortesemente e mi spiega qualcosina. Avevo capito subito che era una stampa importante. Mi disse che era l’albero genealogico (in arabo) dal Profeta all’attuale dinastia Hashemita. Sapevo di questa discendenza, ma non pensavo di trovarla e fotografarla in un luogo francescano!

La Galleria Nazionale Giordana di Belle Arti è piacevole da visitare; essa è posta in due ottimi edifici, al centro un giardino pubblico con poca ombra e qualche scultura anch’essa d’interesse artistico. Mi ricorda il giardino del museo delle ceramiche a Zamalek del Cairo (dietro l’hotel Marriott), molto più ricco di opere contemporanee.

Una mattina ho visitato il museo numismatico presso la Banca Centrale, molto interessante, con le bacheche divise per le varie epoche di monetazione, dalla più antica a oggi. La monetazione va dal periodo Greco ellenistico (5° sec. a. C.) alla dinastia hashemita di oggi. Un impiegato mi ha mostrato, appese al muro in un apposito quadretto, delle banconote del cosiddetto “periodo Hijaz” (1916 – 1925), rarissime e dal grande valore; le banconote recenti sono specimen. Nell’acquistare a uno sportello della stessa “Central Bank of Jordan” un paio di banconote nuove da conservare, mi cadde in terra inavvertitamente un biglietto da dieci: all’uscita un impiegato me lo riportò!

Un piatto di pasta

Luca è un italiano di Cesenatico che da un anno e mezzo ha aperto un minuscolo ristorante, con pochi posti, lungo via Kulliat al Shar’a, la stessa della Dante Alighieri. Il suo ristorante si chiama “Joz Hind” che in arabo significa “la noce di cocco”, ma in dialetto “il marito di Hind” (la moglie giordana). Non ha scelta, ha solo il menù del giorno, ma riesco a mangiare un buon piatto di pasta calda. Ha un pane molto buono, ecco perché qualcuno lo va a comprare da lui.

Mi consiglia di visitare Darat el Funun, una galleria d’arte poco distante.

Non avevo compreso che fosse così vicino, così una mattina, dopo la visita al museo numismatico ho preso un taxi davanti alla Banca Centrale. Ma il tassista, giovane e svogliato, fece giri inutili. Decisi di scendere, mi trovai davanti ad un ufficio. Entrai a chiedere: un impiegato, dopo aver notato la mia forte delusione nei confronti del giovane tassista per nulla professionale, compì un’azione impensabile, in tutta Europa. Mi invitò a uscire con lui, fuori prese la sua auto parcheggiata lì vicino e mi ha accompagnò direttamente. Purtroppo per trovarla anche quel signore ha dovuto chiedere alcune volte. Ho scoperto così che quella galleria ha due ingressi, solo uno ha l’insegna. L’impiegato non ha voluto neanche una mancia, come per rimediare al maltrattamento da me subito. Chi è in difficoltà deve essere aiutato: l’ospitalità qui è sacra! Se avessi capito che si trovava così vicino ci sarei andato a piedi, sfruttando la carta e la bussola, sempre importanti per il turista.

Nella galleria Darat al Funun, un complesso abbastanza dispersivo con varie installazioni artistiche, multimediali, mostre e piccole biblioteche, ho incontrato il sig. Mohammad Shaqdih, assistente direttore, giovane che aveva studiato incisione a Urbino, nelle Marche, il quale mi ha fatto accompagnare da un addetto. Un edificio del complesso ha una piccola biblioteca artistica con libri anche in lingue europee e in italiano.

Varie

Amman si trova tra i 773 e 1029 m s.l.m. Può definirsi in montagna, a volte il tempo cambia repentinamente. In circolazione e in vendita, esposti nei cortili degli autosaloni lungo le vie di periferia, ci sono numerosissimi fuoristrada di grossa cilindrata; ciò dà l’impressione di consumismo all’americana e la presenza di molti ricchi. Il costo della vita è alto, le guide costose, molto traffico e il centro storico non mi è sembrato così ricco di palazzi e attrattive. Questa mia impressione è dovuta sicuramente al mio alloggio troppo lontano per visitarlo con calma a piedi.

In Giordania il Re è un ottimo collante per la società: alimenta e mantiene salda nei cittadini la fiducia nelle istituzioni.

I giordani sono un po’ restii a rispondere alle email, preferiscono “Waths App”, inoltre, curiosamente, sembra che nessuno giochi a pallavolo.

La Belly Dance, che loro chiamano “Arabic Dance”, è praticata solo nei night club, molto frequentati dai ricchi del Golfo Persico. La danza tradizionale giordana e palestinese è il dabki, quella palestinese era eseguita da un gruppo misto in fila.

Il copricapo tradizionale maschile giordano è la kefiah: bianca e rossa per i giordani, bianca e nera per i palestinesi. Protegge dal sole e dalla sabbia. Il tipico pugnale di cui sono armati i poliziotti, più di rappresentanza che di guardia ai migliori siti, come Petra, si chiama khenger.

Una sera in hotel vidi una troupe televisiva: si stava girando uno spot pubblicitario, l’attrice protagonista mi precisò che indossava un tradizionale abito lungo palestinese (tahub), aggiunse che in capo aveva dei fermagli per capelli, artigianali giordani. Le attrici si lasciano fotografare.

Nelle riviste di respiro internazionale e di geopolitica ho letto che anche la Giordania ha persone fuggite per arruolarsi nell’autoproclamato stato islamico. Sono nemici giurati e perfetti dell’Occidente, ma anche nemici dell’Oriente perché con le loro malefatte arrecano danni enormi al turismo; settore con più occupati sulla Terra. Tuttavia molti comuni cittadini mi hanno detto che non li ritengono mussulmani. Inutile generalizzare e pensare che intere nazioni mediorientali siano covo dei banditi dalla bandiera nera. Alcuni persone ritengono facciano largo uso di droghe come i loro indegni precursori “Assassini” sterminati dai mongoli. Qualche secolo prima neanche il sultano Saladino era riuscito a tenerli sotto controllo.

Non voglio accennare all’hotel dove ho soggiornato. Era distante circa otto chilometri dal centro storico, in un’anonima periferia, con troppi difetti, anche oggettivi. Era stato scelto da me su suggerimento dell’impiegata dell’agenzia di viaggi: ma spesso quello che sembra non è. Dopo i numerosi viaggi attorno a tutti i lati del bacino Mediterraneo, è la prima volta che non mi trovo bene.

Non ho visitato il nord, ma Ghassan mi ha accennato che da Umm Qais (l’antica Gadara), su un’altura di 310 m s.l.m. all’estremo nord della Giordania, si può gettare un ampio sguardo ammirando tre nazioni: la Palestina, la Siria e la Giordania. Si vedono le alture del Golan occupate dagli israeliani con la “Guerra dei sei giorni”, il lago di Tiberiade di biblica memoria e il primo tratto del fiume Giordano.

La “Royal Society for the Conservation of Nature” RSCN è una agenzia finanziata sia dal governo sia dai privati, istituita nel 1966, che si occupa della protezione della natura e della gestione dei numerosi parchi e riserve.

Nel punto vendita della RSCN dell’aeroporto di Amman mi fermo ad ammirare i prodotti ecosostenibili artigianali in vendita. Ci sono splendide uova di struzzo decorate che mi sembrano dei veri gioielli come le uova di Fabergè. Il costo di un uovo, così artisticamente decorato e inciso, va da un minimo di 100 ai 300 euro! Vere opere d’arte; per ovviare alla loro fragilità sono vendute in scatole di legno ben rifinite.

Il volo Amman Cairo dura circa un’ora, ma si ritorna indietro di un’ora (a maggio).

Nell’antica Fustat

Lascio Amman per il Cairo, città a me più familiare per merito delle numerose visite. Un po’ di ripresa ha fatto aumentare il traffico stradale, già prima veramente caotico.

La metropolitana è stata allungata, sono in corso ulteriori lavori di ampliamento. Di recente la benzina è aumentata da 1 a 3 pound e i farmaci del 20% mi ha detto la guida Karam Elnaggar. A causa della crisi dell’Europa del sud, delle vicine guerre e guerriglie e del terrorismo, il turismo è molto diminuito. Ma il millenario Egitto supererà anche questa crisi!

Escursione all’oasi del Fayyum

Imboccata l’autostrada (a tre corsie per ogni carreggiata) per la grande oasi, Karam mi mostra sulla destra la zona industriale (con qualche abitazione) “6 ottobre” nel sud del Cairo; a est, invece, c’è “10 Ramadan”: entrambe hanno preso il nome dalla stessa data: il 6 ottobre 1973. In queste due zone industriali ci sono complessi siderurgici, tessili e dei mobili. Il cimitero del “6 ottobre” ha tombe monumentali; il padre della mia guida un loculo di 20 m quadrati l’ha pagato 50.000 pound!

Prima del casello per il pedaggio si trova la porta del Fayyum che segnala l’inizio di quel territorio. La cui città ha ben 2.700.000 abitanti, inimmaginabili in un’oasi.

Ho visitato e fotografato l’antichissima sorgente e alcune ruote a pale per il sollevamento delle acque, simili a quelle dei nostri mulini ad acqua, e il lago salato Qarun. Al punto di assistenza turistica Karam incontrò un compagno di Università che ci diede una brochure sul Fayoum.

La mancanza dei turisti in questa zona rurale del Fayoum si nota moltissimo; molti abitanti in cerca di lavoro emigrano al Cairo.

Voglio raccontare cosa vide l’archeologo tedesco Richard Lepsius quando vi giunse nel 1843.

L’oasi si trova a cento chilometri a sud ovest del Cairo, il lago Qarun era lungo quasi cinquanta chilometri e largo dodici, tant’è che gli antichi egizi lo chiamavano Pa-yom (il mare) ed era considerato un miracolo degli dei. Quella vasta area lacustre e paludosa era piena di coccodrilli. Il dio Sobek era la divinità di questa grandissima oasi. Immissario era un ramo laterale del Nilo. All’epoca già non vi erano più pescatori per mancanza di fauna ittica.

Per un Medio Oriente ecosostenibile

Quest’oasi è un esempio di come i rifiuti e il consumismo esasperato possano rovinare i luoghi più belli dell’Africa. Mi dispiace, ma si notano i danni arrecati dall’abbandono di plastica, lattine, ecc. senza aver prodotto, congiuntamente, un’educazione al rispetto dell’ambiente naturale, congenito nelle vecchie generazioni di egiziani. Purtroppo anche in Europa è arrivato dopo. Il prossimo traguardo sarà differenziare, recuperare e riciclare, consumare di meno e meglio, e non abbandonare nulla che non sia biodegradabile.

È un imbarbarimento derivato dal consumismo estremo, selvaggio, credendo che la terra e le acque possano “digerire” tutto ciò. Le multinazionali hanno acquistato i pozzi di acqua (sempre più profondi) per imbottigliare le loro bevande gassate, ma non si sono mai degnate di spendere un cent in pubblicità sul corretto riciclo delle bottiglie di plastica (oggi ancora più piccole e numerose) o delle lattine di alluminio, quest’ultimo materiale tra i primi a esaurirsi nel futuro non troppo lontano. Ciò farebbe bene all’immagine del loro marchio cui tengono tanto.

Dal punto di vista ambientale, nell’Ottocento i campi, il fiume e i canali d’irrigazione erano migliori di oggi. Non esistevano bottiglie di plastica, lattine d’alluminio abbandonate da scriteriati, presenti ovunque nel mondo.

All’epoca pionieristica di Mohammed Alì, tenente colonnello dell’esercito ottomano di origine albanese, che governava l’Egitto era tutto biodegradabile o quasi. Solo più tardi comparvero i barattoli di banda stagnata, ma in campagna erano riutilizzati per usi vari anche in Italia.

Ritorno nella capitale

Sabato prima della visita al complesso del museo dell’Agricoltura faccio un veloce passaggio all’Italian Fashion Academy, con lo scatto di qualche foto.

Seguendo le indicazioni della guida National Geographic mi sono recato erroneamente due volte nello stesso complesso museale. Da quel volume non era facile capire che il complesso conteneva alcuni padiglioni con diversi musei, ognuno di uno specifico argomento. Tuttavia la mia doppia visita non è stata una perdita di tempo, ma proficua perché la prima volta alcuni palazzi erano chiusi. Inoltre nella seconda visita ho ammirato le sale dedicate ai cavalli, bufali, bovini, dromedari e uccelli da cortile.

Il museo dell’Agricoltura non è un singolo museo ma è un insieme di palazzi (alcuni chiusi) con vari musei. Per scattare foto bisogna pagare apposita integrazione di biglietto; l’orario è 9- 13.30. Il lunedì, come molti altri musei, è chiuso.

La parte più vecchia, dedicata all’agricoltura moderna, fu inaugurata il 16 gennaio 1938 da re Fuad. L’edificio dell’agricoltura egizia è stato aperto da Mubarak nel 1996.

Secondo il mio modesto parere il nome Museo dell’Agricoltura non gli rende giustamente merito, sarebbe più invitante chiamarlo “Museo di Storia Naturale”; poi avrebbe bisogno di un buon lavoro di restyling e ammodernamento. I contenuti sono buoni, anche se le vetrine, bacheche e persino i grafici, a prima vista, appaiono antiquati, non sono da rottamare. Quei contenuti fissano la vita e gli studi di un certo periodo della storia dell’Egitto ed anche della Siria.

Ho visitato anche il museo della Principessa Fatma, figlia di Ismail, il Khedivè che tanto si adoperò per la costruzione del canale di Suez. È interessante, ma quasi tutte le didascalie sono solo in arabo: mi arrangio con la mia memoria visiva e storica. Il mio visitare i musei e siti poco conosciuti e meno frequentati è stato apprezzato anche da un’egittologa e da una docente universitaria.

L’edificio in fondo a destra ha anche un padiglione dedicato alla Siria. Credo che risalga agli anni 1958-1961 quando l’Egitto era confluito, insieme alla Siria, nella “Repubblica Araba Unita” (RAU), un connubio durato, di fatto, solo tre anni. Nel 2016 purtroppo la Siria è l’ombra di se stessa: che tristezza!

Nell’ampio giardino del museo, posto tra i vari padiglioni, le palme con il fusto bianco e pulito sono chiamate maloky palm. Ho anche fotografato un piccolo airone, forse una garzetta, un sicomoro, una palma dum e un alberello (Lawsonia inermis) dal quale si estrae l’henné, conosciuto per il trucco e i tatuaggi rimovibili. Il museo del Cotone è chiuso per restauro, tuttavia il custode mi fa accedere e dare una sbirciata.

Pranzo con spaghetti a casa di Emanuela Versari la quale, in vena, mi anticipa qualcosa di quello che confluirà nel lungo racconto “Argento vivo. Una finestra sul Mediterraneo” compreso nel volume “Le orchidee del Chienti”.

Poi, con un tassista non particolarmente esperto della sua città, faccio un tentativo per individuare in anticipo il monastero delle suore di Clot Bey. Le troviamo, ma dopo un gran tribolare. Così ritorno in hotel sfinito.

Per fortuna la cena sul battello dal nome cinese era stata anticipata alla sera precedente. Inizialmente ci sono state due ore di navigazione, poi cena e danza orientale. Ma la ballerina di Belly Dance non era egiziana, come ha sostenuto per orgoglio campanilistico fino all’ultimo Karam, era una robusta … e bionda ucraina! Alla serata la guida aveva invitato anche un’altra cliente, la giovane Batool di Amman.

Ecco alcuni posti esclusivi del Cairo: Shotting Club a Dokki, Yacth Club sulla riva sinistra del Nilo, e Gezira Sporting Club, sull’omonima isola. Ho saputo anche che “Nile FM” è una radio che trasmette, in inglese, buona musica internazionale.

Clot Bey

Avevo immaginato il monastero delle suore francescane italiane si trovasse in un palazzo ottocentesco nei pressi della Ramsis Station (la stazione centrale) e invece riesco a trovarlo dopo non poche tribolazioni, insieme al tassista che alla fine, disperato, lascia l’auto e lo troviamo a piedi. Probabilmente a notte fonda è più facile raggiungerlo!

Appena entrati, si viene presi dalla tranquillità che vi regna, essa infonde grande serenità nel viaggiatore.

Ho ripensato a come si svolgesse la vita intorno alla metà dell’Ottocento. A rendere difficile e incerta l’esistenza c’erano la povertà, le epidemie, le sacche di schiavitù, l’analfabetismo, i diritti negati, il pesante indebitamento dello Stato per la costruzione del canale di Suez. L’opera della fondatrice, la beata Caterina Troiani, è stata ampiamente positiva. Anche per il suo contributo, oggi in Medio Oriente i Francescani godono la stima della popolazione.

All’imbarco all’aeroporto del Cairo ogni 7-10 metri un controllo di vario genere, l’ultimo con apertura delle valige all’ingresso stesso dell’aeromobile. Cos’era successo? Durante la mia permanenza in Egitto un Airbus A320 dell’Egyptair volo MS 804, il 19 maggio 2016, con 66 persone a bordo, partito da Parigi e diretto al Cairo, si era inabissato nel Mediterraneo tra la Grecia e Alessandria d’Egitto.

Sopra Amman (dove l’aereo della Royal Jordanian fa scalo), le nubi disegnano ombre sparse sul terreno giallo a tratti semi desertico: è la terza volta che ammiro quella bella nazione.

Altri scritti monotematici su questo viaggio sono riportati nel mio volume: “Le orchidee del Chienti”.

Copyright © 2018 Eno Santecchia

Tutti i diritti riservati.

 

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