di Giorgio Roncari –
Pedalando sul Po verso il Monviso
Tra Pavese e Lomellina
Lunedì 8 giugno: Cittiglio – Milano – Valenza
“Sai cosa mi piacerebbe fare… – avevo detto a Rubens, mio figlio, un mesetto fa risalire il Po, magari fino alle sorgenti”
“Andiamo” – aveva risposto lui con naturalezza.
Un’occhiata al calendario ed eccoci qua a pedalare di nuovo lungo il grande fiume come avevamo fatto nel 2012, quando da Laveno sul Lago Maggiore, siamo giunti a Pila di Porto Tolle nel Polesine, una bella pedalata di 650 km fatta in sei giorni a fine aprile con la fortuna di non aver trovato neanche un’ora d’acqua in quella primavera ballerina. Allora c’erano anche l’altro mio figlio Tiziano, e Patrizio, mio nipote, che stavolta devono lavorare.
Questo non sarà un lunghissimo raid, io poi non sono particolarmente in forma in questo momento, non sappiamo neanche dove arriveremo: Torino, Saluzzo, forse Paesana, difficilmente al Pian del Re; contiamo di fare 350 400 km in quattro giorni, ma l’ultimo pomeriggio sarà dedicato ai treni per tornare.
Intanto, all’alba di stamattina abbiamo pedalato da Cuvio a Cittiglio, caricate le bici su un treno delle Nord e scesi alla stazione Cadorna di Milano. Rimontati in sella abbiamo raggiunto la Darsena in Porta Ticinese e, intorno alle 11, abbiamo imboccato il Naviglio Pavese. Contiamo di essere a Pavia per mezzodì e in serata a Valenza Po, un centinaio di km abbondanti, là decideremo se fermarci o meno.
Abbiamo optato per le bici leggere da corsa Rubens ha montato il manubrio sportivo, quello dritto alle quali abbiamo adattato i portapacchi con fascette metalliche non essendoci i fori d’attacco; cercheremo, per preservare i tubolari stretti, di non fare strade troppo malandate. Ormai abbiamo una bella esperienza di queste avventure in bici, infatti, oltre alla parte bassa del Po, abbiamo pedalato due volte sul Cammino di Santiago il Francese e il Nord lungo la Claudia Augusta, dal Danubio al Po passando il passo Resia. Quest’anno termineremo il Po come ci eravamo riproposti a suo tempo.
Portiamo con noi la ‘Ciclovia del Po’, una guida di Carlo Pedroni e Antenore Vicari edita dalla Ediciclo, una buona decrizione del lungo percorso dalle fonti al delta, anche se nel nostro caso, visto che risaliamo, dovremo interpretarla al contrario. Abbiamo anche il ‘Documento del Po’, una tessera a fisarmonica ideata da noi l’atra volta a similitudine della Credenziale di Santiago, da timbrare ogni tanto, dove capita, meglio se uffici turistici, per dimostrare il nostro tragitto. Abbiamo anche applicato un adesivo alle bici… prima o poi diventeremo grandi.
Il Naviglio Pavese, largo 10 m, scorre dritto per 33 km, con un’ampia ansa aBinasco, intermezzato da 12 conche – chiuse per il sollevamento barche sormontate da altrettanti caratteristici ponti pedonali ad arco in ferro. Era l’ultimo tratto di quel complesso sistema navigabile che serviva per trasportare merci e prodotti dal Mediterraneo a Milano, via Po, Ticino e Navigli. Doveva sostituire il disagevole Naviglio di Bereguardo separato dal Ticino da un tratto stradale che obbligava aun difficoltoso trasbordo a dorso di mulo.
La sua costruzione ebbe una lunga e travagliata gestione: ideato nel XVI sec dai Visconti e dagli Sforza, sviluppato in parte dagli Spagnoli, fu sospeso a più riprese per vari motivi come guerre e pestilenze, venne infine ultimato per ordine di Napoleone nel 1807 e inauguarato dagli austriaci nel 1819. Gli ultimi barconi da trasporto lo percorsero fino al 1965, quando vennero interrati molti canali che caratterizzavano la Milano dei tempi considerata città d’acqua con numerose zone chiamate isole.
Passato il primo tratto urbano dove sono ormeggiati numerosi vecchi barconi trasformati in ristorantini e birrerie molto frequentati di notte c’è la movida – abbiamo proseguito su un percorso condiviso con le auto, passando la lunghissima periferia e poi l’hinterland di Assago e Rozzano fatto di moderni condomini e vecchi casoni, pedalando per un lungo tratto col naviglio a sinistra e una serie di orti di città a destra. A Badile siamo passati sull’altra sponda.
Ora siamo qui a Binasco, fermi, dubbiosi sul da farsi, davanti al sottopasso della trafficatissima statale del Giovi, allagato per via dell’ acquazzone venuto giù stanotte in Lombardia, varesotto compreso.
“Non sembra molto alta” fa Rubens.
“Proviamo a passare? – dico – meglio da qui che attraversare la strada” e lentamente superiamo il guado.
E’ una giornata caldissima con un sole a perpendicolo che fa sudare e da un pò viaggiamo a dorso nudo; pensare che alle sette pioveva ancora.
Passiamo Casarile dove il cimitero è diviso dal canale. Da qui parte una roggetta parallela al naviglio e noi viaggeremo nel mezzo fino quasi a Pavia. Ora la campagna ha preso il posto delle case, è soprattutto grano e qualche risaia. Nel naviglio si vedono molti pesci, alcuni sfiorano il metro.
“Cavedani” sentenzia Rubens che è pescatore.
«Divieto di pesca salvo i predatori » dice un cartello e chissà cosa vorrà dire, comunque qui fanno gare di pesca.
Incontriamo tre comaschi della mia età con le bici zavorrate, stanno andando a Roma sulla via Francigena. Li rivedremo ancora.
Passiamo Nivolto con la sua conca doppia e in lontananza compare la sagoma della Certosa di Pavia che richiede una breve deviazione. E’ lunedì, è chiusa e non possiamo che fotografarla da fuori. E’ mezzogiorno, prima di ripartire ci facciamo imbottire un paio di focacce, due te freddi e qualche frutto ad una panetteria alla quale chiediamo un timbro sul nostro documento di viggio. L’hanno nell’altro negozio ma gentilmente ci fanno la scritta a mano.
Fino al 1933, sul km di strada che collegava l’abazia alla stazione ferroviaria del borgo di Certosa, rimase in attività una tranvia a cavalli, l’ultima d’Italia.
Passiamo Borgarello. Pensavamo di mangiare a Pavia sul Ticino ma Rubens ha fame e allora ci fermiamo in periferia appena dopo lo stadio all’ombra di un parchetto. In città ci arriviamo alle 14, passiamo i Giardini, l’Università, la piazza Vittoria, la lastricata Strada Nuova, ma non ci fermiamo se non per prelevare al postamat perchè io ho scordato i soldi, come un cucù. Transitiamo sul sempre scenografico ponte coperto sul Ticino e, a Borgo Ticino, seguendo le indicazioni della nostra guida, cerchiamo la strada per Travacò Siccomario.
Giriamo e rigiriamo, ma è sempre attorno a S. Martino Siccomario che pedaliamo, ritrovandoci a percorrere la battutissima Strada dei Giovi. Vediamo il grosso centro commerciale dove l’altra volta Tiziano comprò la bici al Decahlon avendo rotto la sua, anche stavolta ci sostiamo per prendere della crema solare alla Bennet dato che Rubens stà scottandosi. Ora i gradi sono 40. Il Sicomario è una piccola regione che si estende da Pavia alla Lomellina e pare deivi da sicum mare, come il mare, riferito all’ ampiezza del Po in antico.
Di Travacò comunque non c’è traccia, nemmeno chiedendo ai contadini e alla fine, dopo vari dispersivi qua e là, ci troviamo ai piedi di un paese che non sappiamo. “Cava Manara” risponde una ragazza alla mia domanda. La patria di Luciano Manara.
“Per Sommo?” chiedo ancora. “Non ne ho la minima idea” ribatte lei. Siamo a posto. Ce la indica un uomo, è a soli 3 km.
Da Sommo, paese con le case dipinte e dove comincia la Lomellina, preniamo la tranquilla strada indicata dalla guida, in mezzo alla campagna, asfalata e poco movimentata che passa da Gerone. Imbocchiamo una scorciatoia su terra battuta ma è un errore perché si rivela una carraia ghiaiosa difficile per le nostre ruote leggere. Conveniamo che sarà meglio lasciar perdere questo tipo di strade. Arriviamo a Zinasco Vecchio e imbocchiamo la provinciale 193 bis, un lungo rettilineo assai trafficato. Zinasco Nuovo, Pieve Albignola dove incontriamo due ragazze del polesine anche loro in bici. Sono partite sabato da Torino e stanno tornando ai loro paesi seguendo la strada col navigatore. “A vederlo il Po – ci dice una poi le strade che lo costeggiano sono impraticabili” in effetti del grande fiume, anche per noi, finora nemmeno l’ombra.
Ci salutiamo e continuiamo per Sanazzaro dè Burgondi, la cittadina più grossa dei dintorni, circa 6.000 ab. Come a Cava, anche qui un arco d’ingresso dove una lapide racconta della piena che la distrusse nel 1600.
Ha una storia importante, era capouogo del marchesato omonimo dei Malaspina; in epoche recenti, è stata impiantata una grande raffineria dell’Agip che ha trasformato l’economia da agricola in industriale. Sono le 14,30.
Ora la strada punta dritta a sud, verso il ponte di ferro che scavalca il Po. Passiamo l’Agogna e nelle vicinanze di Baossa Bigli, quando il ponte compare, giriamo a destra per Pieve del Cairo; forse tra un poco incontreremo il grande fiume.
Siamo in Lomellina, una delle tre grandi zone in cui è divisa la provincia di Paia: il Pavese a est del Ticino, la Lomellina a ovest e l’Oltrepò a sud del Po.
Nella campagna ora si vedono più risaie, alcune invase di acqua ma c’è anhe grano e mais; si scorge qualche trampoliere e aimali selvatici, gru cenerie o cavalieri d’Italia dalle grandi ali che planano nele risaie; un leprotto poco fa ci è corso un attimo a fianco andando a rifugiarsi, spaventato, nei cespugli. Il sole ci batte in testa semre spavaldo, pare comiaciuto di accompagnarci in pompa magna.
Pieve, vista da lontano, da l’idea di un borgo nobile e fortificato con torri e campanili che svettano sopra l’abitato. Deve il nome a un’antica basilica, venne distrutta dal Barbarossa nel XII sec, possiede il più grosso castello della Lomellina e un arco trionfale eetto nel 1600 in onore del passaggio di Margherita d’Austria regina di Spagna. Sulla facciata della chiesa della B. V. della Consolazione fa effetto il grande affresco che ricorda il giubileo annuo concesso alla città, da papa Leone X Medici a riconoscenza di essere stato liberato dai francesi nel 1512 quand’era delegato pontificio.
Qui vicino c’è Cambiò e, in sponda piemontese, la quasi omonima Alluvioni Cambiò, sorte al posto dal paese di Sparvara distrutto nel XVII sec dalle disatrose piene del Po che hanno spesso fatto cambiare sponda ai paesi, cosicchè il confine tra Lombardia e Piemonte ora non corre più lungo il fiume come saebbe naturale.
Passiamo le piccole Gambarana e Suardi, anche loro soggette nei secoli alla furia del Po. Sono le 18, abbiamo fatto quasi 100 km, le gambe cominciano a lamentarsi, il caldo ci ha sfiancati, ci sono ancora 35°, il sedere duole. Rubens coi pantaloncini imbottiti di scorta, ha ideato un coprisella del quale va fiero come del parabrezza fatto l’anno scorso con buste di plastica dei supermarket per ripararci da acqua e aria. “Ogni anno invento qualcosa”si compiace.
Decidiamo di telefonare per pernottare. Troviamo senza difficoltà per 50 € alla Cascina Nuova, poco prima di Valenza, un B&B che ci ha consigliato Roberto un mio amico orefice di qui che ha negozio nei miei paesi. Rinunciamo alla colazione perché ci costerebbe altri 20 €.
Mancano solo una decina di km.
Passiamo Frascarolo, anch’esso già marchesato, con una bella chiesa e un imponente castello che però non vediamo perché, seguendo la guida, prendiamo una scorciatoia in campagna che si rivela una difficile strada sassosa sulla quale perdiamo un sacco di tempo e quando ritroviamo infine l’asfalto, capiamo di aver fatto qualche km in più.
Poco prima del ponte sul Po, comincia il Piemonte, provincia di Alessandria.
E’ un lungo viadotto in muratura limitato dalla ferrovia e un treno ci sfreccia veloce vicinissimo. Finalmente riusciamo a vederlo il grande fiume, sarà largo 300 m e non c’è moltissima acqua. Entriamo nel ‘Parco fluviale del Po’ che corre lungo il fiume fino alle sorgenti il cui scopo è quello di conservarne intatto l’ecosistema. Tre km e siamo a Cascine Nuove, una vecchia azienda agricola trasformata in agriturismo dove spiccano quattro silos dipinti di diversi colori. Armana, la proprietaria, gentile, ci mostra la camera, per cenare però dovremo andare in città, due tre km oltre. Ci sono altre bici: “pare che oggi si siano mossi tutti i ciclisti” dice Armanda.
Doccia, breve riposo, quindi pedaliamo fino a Valenza dove arriviamo che comincia a gocciolare e il tempo borbotta, speriamo tenga. Ceniamo sotto i portici del Duomo che ricorda la chiesa di S. Vittore di Varese, in una pizzeria di argentini: due cotolette milanesi, contorni e panachet per 35 €. Valenza, fa 20.000 ab ed è nota come la patria degli orefici. Già mercato romano, importante centro di confine del Monferrato fu più volte saccheggiata e ricostruita. Vi era nato Giovanni Gronchi, già presidente della Repubblica e nelle sue vicinanze si trova la villa Pastore conosciuta come la casa dei fantasmi bambini.
Qualche messaggio a quelli che non son venuti, telefonate a chi le aspetta e ritorniamo. Ormai è buio e accendiamo le mie pilette, io davanti e lui dietro. Gocciola sempre più insistentemente e arriviamo bagnati in parte. Un po’ di TV, c’è la semifinale di basket, e poi spengiamo tutto. E’ dalle 8 di stamattina che siamo in giro, abbiamo fatto in tutto 120 km, siamo cotti dal sole e unti di crema; gli appunti li prenderò domattina.
Risaie e campi di grano
2a TAPPA Partenza 9,00
Arrivo 18,15
Tempo 9h15’ In sella 6h07’ Km 96
Media 15,8
Tempo tot 20h15’ In sella tot 12h42′ Km tot 215
Media gen 16,3
Martedì 9 giugno: Valenza – Casale Monferrato orino
Alle sei sono sveglio; è coperto però c’è qualche sprazo d’azzurro, prevedono si apra, speriamo. Attendendo il risveglio di Rubens compilo il mio diario come piace fare a me. Il materasso era troppo morbido per i nostri gusti.
Caricate le bici, allle 9 salutiamo Armanda che gentilmente ci ha fatto il timbro e ci ha offerto un caffè ma noi preferiamo partire, ci fermeremo al primo paese. Pedaliamo stanchi e piuttosto silenziosi perché Rubens non sta bene, ha dolori di stomaco, la pelle gli brucia e si sente la febbre.
A Pomaro, su un poggio, fa bella mostra di sé il castello medievale. “E’ in vendita, vogliono otto milioni” ci dice la ragazza del negozio, edicola, bar di Bozzole dove ci siamo fermati per due cappuccini, in pratica l’unico esercizio del paesino.
Del cammino segnalato dalla nostra guida, sul posto non si trova alcuna traccia, non esiste un cartello indicativo, dobbiamo andare a tentativi e indoviare le deviazioni non è niente facile, eppoi preferiamo l’asfalto tanto, anche dalle carraie, il Po non si vede.
Pedaliamo nelle campagne del Monferrato su una tranquilla strada fra cascinali e piccoli borghi: Rivalba, Valmacca, Ticineto. A Valmacca ha vissuto Salator Gotta che nei suoi romanzi ne ha descritto fatti, luoghi, personaggi; a Tiineto era nata la madre di Cesare Pavese. La tranquillità termina quando inrociamo la provinciale che porta a Casale Monferrato battuta da auto e camions, 5 km di rettifilo intervallato da numerose rotonde, con magazzini, supermercati e outlet che si susseguono.
A Casale, in piazza Mazzini, arriviamo che suonano le 11, abbiamo fatto 25 km. E’ una città di 35.000 ab. con una storia di tutto riguardo essendo stata capitale per trecento anni del Ducato del Monerrato che fu anche dei Gonzaga e rachiude in sé numerosi monumenti. Faosa per il vino e il riso, ma anche l’industria è fiorente. ‘Città d’arte e cose buone’ diceva un cartellone all’ingresso. Visitiamo un poco le belle strade lastriate del centro, fotografiamo il duomo, la torre civica, il castello. All’ufficio inormazioni chiediamo il timbro ma pure qui non l’hanno e ci fanno una nota a mano. C’è mercato, prendiamo qualche pesca che consumiamo in parte, seduti nel parco addossato al castello, sono due come sassi.
Mezz’ora e ripartiamo passando il ponte sul Po – toh! eccolo di nuovo – quindi dopo le borgate periferiche di Popolo e Cavallino, ritroviamo la campagna. Stiamo pedalando sulla lunga ex statale 31 bis che non lasceremo più fino quasi a Torino, sempre accompagnati dalla ferrovia. Dopo Morano sul Po lasciamo il Monferrato ed entriamo nel vercellese.
Cinque km e siamo a Trino e ci fermiamo a mangiare visto che manca un quarto all’una. Un bel paesone di 7.000 ab dove, scopro, esserci l’edifico del ghetto, già sinagoga, a ricordo della piccola ma fiorente comunità ebraica qui presente fino alla II guerra mondiale. Numerosi ragazzi e ragazze bagnati fradici si rincorrono facendosi gavettoni e festeggiare così la fine della scuola. Un panino e un trancio di pizza a un baretto scambiando qualche chiacchiera con i baristi, sulla famigerata centrale nucleare.
Quasi un’ora dopo ripartiamo e non possiamo non fotografare la centrale che era stata dedicata a Enrico Fermi. Sono solo io che fotografo; Rubens, come d’ abitudine, non si è portato la macchina e il cellulare lo tiene spento perché, dice, gli arrivano avvisi a ripetizione a causa del suo lavoro.
Viaggiamo sempre tra risaie e campi di grano, l’occhio si perde nella pianura vercellese, mentre a sinistra, di là del Po, del quale a malapena riusciamo a distinguere gli argini, ci accompanano le colline del Monferrato, dove si intravvedono profili di castelli. Il sole ora ha preso a splendere a momenti e Rubens indossa maniche lunghe per ripararsi visto che continua a bruciare e la crema non fa più di tanto. Sta meglio dopo che si è preso un’aspirina delle mie. Lui non si premunisce mai molto, tanto sa che ci sono io che organizzo tutto.
Cinque km e siamo a Palazzolo Vercellese, altri tre e raggiungiamo Fontaneo Po dall’alto campanile; in fondo, verso nord gli enormi camini della centrale Enel ‘Galileo Ferraris’. Altri sette e saremo a Crescentino. A metà strada, all’improvviso, dopo una delle tante macchie regolari di pioppi e lecci (credo) ci appare una bella chiesina dalla cupola maestosa forata da quattro tamburi degradanti, è quella di S. Silvestro che dà il nome al piccolo borgo attorno.
A Crescentino arriviamo alle 14,30 dopo 55 km, facciamo una breve sosta per dissetarci e lasciar riposare il sedere che si lamenta. Rubens si spalma per l’ennesima volta la crema; è rosso come un peperone, schiena, petto, naso e ginocchia, non ha la pelle stagionata come me. Dei giostrai stanno smontando le loro attrazioni.
Crescentino è sorto nel medioevo come borgofranco di Vercelli fra la Dora e il Po, conta 8.000 abitanti e ha il rango di città, però presenta le stesse particolarità degli altri paesi: la strada principale a volte porticata che viaggia fra basse case a due piani, qualche traversa, la piazza della chiesa, il palazzotto signorile o il castello antico, la torre civica, qualche santuario e poca gente in giro, qui un poco più numerosa. Vi è nato Cinico Angelini il mitico direttore della Radio e dei primi Festival di Sanremo.
Prima di Borgo Revel passiamo in provincia di Torino e poi scavalchiamo la Dora Baltea. Siamo sempre sulla movimentata 31 bis che viaggia dritta da un borgo all’altro, lasciandola solo quando aggira i paesi, preferendo il centro così da vedere qualcosa e allentare la tensione del traffico. Sovente troviamo il pavè che per i nostri posteriori non è il massimo. A margine della carreggiata a volte vi è una stretta corsia, altre una fettuccia, ma spesso solo la linea bianca e vetture e articolati ti sfrecciano vicini.
Ciò che più inqueta sono i camion rimorchiati che quando pensi siano passati ti ritrovi inaspettato il rimorchio a farti sobbalzare, poco fa per un attimo ho perso il controllo, mi sono infilato nell’erba e a momenti cado, questi, però, sono gli imprevisti da calcolare in queste avventure. Abbiamo provato qualche percorso secondario ma, per vari motivi, concordiamo sia meglio tenere la strada principale.
Borgo Revel lo vediamo di là della ferrovia; deve il nome all’ ammiraglio Paolo Thaon de Revel che qui trascorse l’infanzia; come la successiva Benne, è frazione di Verolengo dove arriviamo alle 15,40 dopo 80 km. E un paese caratterizzato da strade a doppi porticati, più lunghi che nelle altre località attraversare. Mezz’ora per un gelato e via, dovrebbero mancare una ventina di km a Torino ma il condizionale è d’obbligo perché pure i cartelli sono in disaccordo aumentando o diminuendo la distanza come se fossero stati messi a casaccio.
Scavalchiamo il Canale Cavour, passiamo Castelrosso dove merita una foto la chiesa dall’elegante facciata neoclassica, e siamo a Chivasso, la città di Simona Ventura. Fa più di 25.000 ab, è ricca di storia e conserva un artistico centro gotico porticato. Bella la piazza del Duomo, dove cerchiamo di farci fare una foto insieme, rinunciando dopo tre tentativi – mah! vai a capire la gente. Foto anche a una strana statua, pare un moderno angelo assai in carne con due piedi enormi.
A Brandizzo dove riempiamo le borracce a una fontanella, alcuni anziani vedendo le nostre bici cariche, ci chiedono da dove veniamo e dove andiamo. Ormai siamo nell’ hinterland di Torino, in fondo svetta Superga. Ancora alcuni km di campagna dove c’è qualche cascina abbandonata, e arriviamo a Settimo Torinese, 50.000 ab, una delle città satelliti di Torino che dal 1960 ha quintuplicato la popolazione. E’ lunghissima e dispersiva così non riusciamo a passare il centro e vediamo solo condomini e casermoni e un affollato parchetto che fotografiamo tanto per avere un immagine anche di questo luogo.
Non c’è più spazio per i campi, ora i quartieri si susseguono assieme a fabbriche e centri commerciali, superando rotonde e svincoli col traffico che si fa maggiore. Passiamo il cartello che indica l’ingresso a Torino ma la periferia è immensa. Oltrepassiamo anche la Stura di Lanzo.
Oggi il tempo è stato più clemente di ieri, il sole non era così prepotente e la temperatura raramente ha passato i 30°, ora, però, all’improvviso si è rannuvolato e comincia a gocciolare.
Avremmo voluto arrivare in centro ma per evitare brutte sorprese decidiamo di fermarci. Alla prima farmacia che troviamo dove entro a prendere del gel per i muscoli, chiedo di un albergo o B&B. C’è un residence in cima all’ infinita traversa, in piazza Derna, Hotel Miramonti, 3 stelle, vogliono 90 € con colazione, non certo a buon mercato ma ora pioviggina insistentemente e ha l’aria di peggiorare quindi lo prendiamo. Siccome non hanno un deposito, ci fanno portare in camera le bici, due piani di scale con qualcuno che ci guarda sorpreso. Sono le 18 e un quarto.
Il tempo di registrarci alla reception e viene giù il diluvio, le strade diventano fiumi. Alla fine abbiamo speso bene questi soldi. Doccia, un riposino e, quando spiove, andiamo a mangiare una buona bufalina in una pizzeria d’asporto a buon mercato così risparmiamo. Caffè, dolcino e a nanna.
Qui non c’è il televisore, o almeno noi non capiamo che quel quadro nero appeso al muro è un monitor, quindi ci perdiamo in messaggi, telefonate, internet e appunti. Un viaggio come il nostro fatto in bici, lascia poco spazio a visite più approfondite, ugualmente la mia curiosità mi spinge a conoscere un poco la storia, le particolarità, i monumenti di località e paesi incontrati alcuni non li conoscevo neppure – ricerca che probabilmente non sarei stato stimolato a fare se non avessi intrappreso questa pedalata.
Qui siamo ancora lontani dal centro di Torino, è il quartiere nord di Rebaudengo, sulla strada per la Falchera. Domani vorremmo passare Saluzzo perciò dovremo partire di buona ora. Intanto per oggi abbiamo fatto 96 km, pedalato oltre sei ore e girato per 9 ore e 15. Ora i km sono 215.
La valle del Po
3a TAPPA Partenza 8,15
Arrivo 17,00
Tempo 8h45’
In sella 6h04’
Km 90
Media 14,8
Tempo tot 29
In sella tot 18h46’
Km tot 304
Media gen 15,8
Mercoledì 10 giugno = Torino Saluzzo Paesana
Alle sei sono sveglio e studio il percorso per attraversae Torino. Come ieri, anche stamattina è coperto ma prevedono aperture pomeridiane. Alle sette sveglio Rubens, anche stanotte ha dormito male per le sue bruciature. Perdiamo più di un’ora tra preparativi, colazione e portare giù le bici, e alle 8,15 partiamo. Alla reception ci han fatto il timbro.
Per raggiungere il centro dobbiamo fare il lunghissimo corso Giulio Cesare, trafficato e pieno di semafori che ci rallentano molto. Sbuchiamo in Porta Palazzo sempre caotica per via del mercato giornaliero. Ruens preleva al bancomat. Lui a Torino ha fatto il miliare e ci ha anche vissuto per un certo periodo quindi la conosce certo meglio di me, però in caso di bisogno abbiamo la cartina presa in albergo.
Proseguiamo ancora diritti, poi voltiamo a sinistra per il Palazzo Reale, quindi la grande piazza Vittorio Veneto e siamo al Po. Prendiamo a destra per i Murazzi alla sera è poco raccomandabile” dice Rubens poi il Parco del Valentino col borgo che visitiamo dato che lui non l’ha mai visto. “Dove andavi quando eri a Torino” gli domano “eh… fa vago avevo sempre da fare”.
Sull’altra sponda, la Gran Madre e il Convento dei Cappuccini.
do sulla ciclabile a fianco del grande Una foto anche alla fontana dei mesi e lasciamo il Valentino; sono le 9,30. Fialmente stiamo pedalanfiume che è gonfio e marrone per via del temporale di ieri sera. C’è molta gente che cammina, fa jogging o pedala. Pasiamo l’ospedale delle Molinette e una serie di palazzi istituzionali e sportivi. Al Sangone l’asfalto lascia il posto a un sentiero sterrato fra la macchia, fianchegiando prima il Parco delle Vallere che dà il nome alla ciclabile e poi un campo da golf. Un ciclista ci garantisce che è la via giusta per Nichelino e Stupinigi doe, crediamo di dover passare. Sbuchiamo in una grossa borgata, che sia Nihelino? No è Borgo S. Maria, il quartiere oltrepò di Moncalieri. E’ assai trafficato; a un semaforo per poco una macchina mi prende.
Pensiamo di aver ragione entrambi, qualche accidenti a vicenda e poi ognuno per la sua strada.
Vorremmo fare la ciclovia segnata sulla guida ma non riusciamo a capire bene dove siamo e dove andare e non è che chiedendo le cose migliorino. Ci par di capire che si allugnhi il tragitto e si perderebbe tempo, così alla fine rinuncia o e prendiamo la regionale 20 che punta dritto a Carignano. Il Po, fino a stasera lo rivedremo solo dai ponti. Di Nichelino, 50.000 ab, nel cui comune sorge la celebre Palazzina da Caccia di Stupinigi, vediamo solo i monotoni sobborghi. Cinque km e siamo a La Loggia, un altro dei paesoni dormitorio cresciuti a dismisura nell’ultimo mezzo secolo.
Ricomincia la campagna, non ci sono più risaie, ma grano e granoturco e macchie d’alberi e boschetti. Altri 10 km e arriviamo a Carignano, una delle citadine più ricche di storia e vestigia del Piemonte. Conserva reperti del neolitico e fin dai tempi romani era un punto strategico per attraversare il Po, è gemellato con Rabat e si festeggia un rinomato carnevale. Carignano ha dato il nome al ramo Savoia dei re d’Italia. Fra i monumenti, il duomo barocco in cromature rosse che fotografo.
Deviamo per la provinciale 663 per Saluzzo, un po’ meno battuta. E’ ritornato il sole però la corona delle Alpi è ancora nascosta dalla nuvolaglia. Passiamo cascinali e minuscole frazioni. A una di queste, Ceretto, ci fermiamo per un cappuccino e un panino, sono le 11 e nelle gambe abbiamo 33 km precisi. Scambiamo qualche parola con la donna del bar più o meno la mia età che ci mostra, sulla guida, la strada per Saluzzo. Ripartiamo mezzora dopo con il timbro sul nostro documento. Pedaliamo abbastanza blandi su una strada sempre in leggerissima salita, Rubens ogni tanto si spalma di crema sulle scottature che gli danno parecchia noia. Anche il mio sedere si lamenta a gran voce, vorrebbe qualche lenitivo, gli propongo una supposta; preferisce soffrire stoicamente in silenzio.
Passiamo Lombriasco nel cui castello pare abbia dormito Napoleone, scavalchiamo il Po e siamo a Casalgrasso, primo comune in provincia di Cuneo, poi Polonghera dove finalmente riusciamo a imboccare il percorso indicato dalla guida, una tranquilla strada asfaltata in campagna che non allunga molto il tragitto; passa dal paesino rurale di Ghigo e sbuca a Moretta, solo 8 km ma rilassanti, più delle brevi ciclabili che nei centri abitati, a volte troviamo.
A Moretta è sviluppata l’industria di trasformazione legata all’agricoltura, vi è la più importante manifattura nazionale che produce latte in polvere alimenare. Dopo Torre S. Giorgio è un’unica pedalata di 10 km nella sconfinata piaura fino a Saluzzo, solo qualche cascina che qui chiamano regione. Si vedono sempre più numerose, coltivazioni di mele. Il sole si diverte a giocare con le nuvole ma fa abbastanza caldo, attorno ai 30°.
Saluzzo lo vediamo in fondo alla campagna, si distende su un piccolo colle con i campanili e le torri a dominare dall’alto il borgo. Me lo immaginavo in mezzo fra le montagne, come Sondrio, invece è ancora in pianura anche se a 395 mslm. Ha una storia nobile, dal X al XVI sec fu Marchesato autonomo dei Del Vasto, tanto potenti da rivaleggiare coi Savoia. Dal 1500 è diocesi e nel 1800 fu anche capoluogo di provincia. Ci accoglie la chiesa di S. Agostino dal maestoso campanile ma sono molti i monumenti, dalla cattedrale, che chiamano duomo, in stile tardo gotico, alla chiesa di S. Giovanni, da Casa Cavassa al palazzo della Castiglia, già residenze dei Marchesi e la bella Torre Civica. Saluzzo ha dato i natali a molti personaggi, tra cui Silvio Pellico e il gen. Carlo Alberto dalla Chiesa. Ci fermiamo in Piazza Pellico al caffè omonimo sotto i portici, mi faccio servire un’insalata di riso, Rubens è ancora sazio del panino di stamattina, prenderà poi un gelato.
Sono le 13,30, abbiamo pedalato per 65 km sotto un cielo variabile. Il barita, un ex ciclista sulla quarantina, ci assicura che salire il Viso, come lo chiaano localmente, non è così dura “tira un pò dopo Calcinere ma si può fare”. “Speriamo che il tuo concetto di duro sia simile al mio” dico dubbioso.
Secondo lui in cima sta piovendo. Un’ora dopo ripartiamo. Vorremmo prendere una pomata più efficace per le scottature ma le farmacie sono ancora chiuse. Da Saluzzo due sono le strade che si addentrano nella valle del Po, quella sulla sponda sinistra che passa da Revello e l’altra sulla destra che tocca
Martiniana Po, congiungendosi a Sanfront. Prendiamo la seconda perchè legermente più corta e m’immagino meno dura. Si rivela invece una strada che sale a ripidi gradoni con brevi discesette e dobbiamo faticare mica male. Saanno gli strappi, sarà che siamo stanchi, saranno le bici pesanti ma dobbiamo impegnarci.
Ecco Martiniana, famosa per il ‘piropo’, un particolare cristallo granato locale di notevole valore, poi Gambasca il paese delle streghe, alcune frazioncine e finalmente siamo a Sanfront a città del fungo come dice un cartello he fu bruciata dai tedeschi nel 1944.
Ci fermiamo ad un baretto per un gelato; ci dicono che siamo fortunati perché se arrivavamo ieri le strade, per l’acquazzone, erano diventate un fiume. E’ zona di lingua occitana, parlata però ormai solo dai vecchi dei paesini d’alta montana, ugualmente conservano un piemontese stretto.
Ripartiamo per Paesana dove abbiamo deciso di fermarci anche perché non sappiamo se più su troveremo alloggi e poi ha cominciato a gocciolare e non vorremmo bagnarci.
Sei km di saliscendi più abbordabili, passando alcune piccole borgate e siamo ai 620 mslm di Paesana, il paese più grosso della valle, diviso dal Po, qui poco più di un torrente sassoso, in due borgate: S. Margherita e S. Maria. Troviamo finalmente la farmacia dove chiediamo anche un ricovero per la notte; ce ne indicano due attigui, un albergo e un B&B ma bisogna fare altri 23 km su e giù sulla strada opposta per Barge. Scegliamo l’hotel perché si affaccia alla provinciale mentre il B&B è in cima ad una rampa che fa paura e non ha cucia. Sono le 17, abbiamo fatto 90 km, gocciola sempre e potrebbe piovere da un momento all’altro.
Si tratta dell’Albergo tre stelle della Colletta, dove ci danno la camera per 70€ colazione inclusa e locale bici. E’ un bell’ ambiente a conduzione familiare con un largo posteggio e una grande sala pranzo, c’è anche il WiFi del quale ormai pochi possono fare a meno. Il titolare, gentile e loquace ci dice che nei week end arrivano molti clienti e tanti sono anche i ciclisti in comitiva.
Passiamo un paio d’ore nelle nostre cose, io agli appunti e lui col tablet per i suoi impegni; il WiFi però fa le bizze così il titolare cortesemente gli fa usare il suo PC. Alla fine non ha piovuto però in due ore ha cambiato clima più volte, alternano nuvole e fresco a sole caldo. Le vette comunque non le abbiamo viste.
A cena mangiamo una pasta io e una cotoletta lui. Parliamo volentieri delle nostre cose, di banalità, del da farsi domani, se salire ancora o rinunciare. Da qui al Pian del Re ci sono 20 km di salita tosta, fino al 10%, quindi dovremmo ritornare a Saluzzo e da lì a Savigliano dove alle 14,30 abbiamo il treno per Torino. Si tratterebbe di fare 70 km e non crediamo di farcela per quell’ora. Concludiamo di decidere domattina anche in base al tempo. Prima di tornare in camera ci beviamo pure due grappe, poi le solite telefonate e sms, un poco di tivù e buonanotte.
Pedalando sul Viso
4a TAPPA Partenza 8,30
Arrivo 21,00
Tempo 12h30’ In sella 4h46’ Km 74
Media 14,7
Tempo tot 41h30’ In sella tot 23h32’ Km tot 378
Media gen 15,25
Giovedì 11 giugno = Crissolo – Savigliano – ritorno
Stamattina mi sveglio più tardi, 6,30. La giornata è serena e la vista stupenda: là, sopra Paesana, sontuoso e spettacolare, il Monviso spicca come una piramide su tutte le vette attorno. La vista ci fa decidere di salire almeno un’ora e vedere dove arriviamo; sempre meglio che aspettare noiosamente il treno a Savigliano. Colazione, lasciamo le borse in albergo e partiamo, sono le 8,30.
Meno di mezzora e raggiungiamo Calcinere, 45 km. Per ora non è stata dura anche se il mio cambio posteriore ha cominciato ha fare le bizze e non scende sui rapporti piccoli, sarebbe peggio il contrario. Le nubi nel frattempo hanno nascosto il Viso. Calcinere è un pugno di case diviso in due, inferiore dov’è una vecchia centrale Enel e superiore, 785 mslm.
“Andiamo avanti?” chiedo
“Andiamo dove vuoi” risponde Rubens e così ripartiamo.
Ci avevano detto che da qui si fa dura e dicevano bene. Un cartello ad ogni km ci comunica la pendenza media di quello successivo, dal 4,5 al 10,5% con l’handicap che a volte spiana, per cui quando sale la percentuale è maggiore. E’ una strada che assomiglia molto al Vararo – Cuvignone, incassata fra le montagne col Po di fianco che è un torrentello sassoso. Il sole picchia, c’è di buono che troviamo lunghi tratti d’ombra, soprattutto per Rubens, il mio sottosella invece è tormentato da un foruncolo.
Ciclisti ci superano, qualcuno scambia due parole altri passano spediti che paiono dopati. Noi siamo ciclisti da diporto come dico io preferiamo salire lentamente col nostro passo, io sempre un pò avanti, e se è il caso anche riposare mangiando le fragoline di bosco. Così racconto a Rubens che Pian del Re, dove sono le sorgenti, è a 2020 mslm, ed è così chiamato per via che il Re di Francia, Francesco I, vi mise le tende durante l’invasione del Ducato di Savoia alla fine del XV sec. Si trovava lassù perché passato dal ‘buco del Viso, il primo traforo alpino della storia, un lavoraccio per i mezzi dell’epoca, effettuato nel 1480 dal marchese di Saluzzo, Ludovico II del Vasto, con lo scopo di rendere più accessibile e sicuro il trasporto di mercanzie e cibarie, sopratutto del sale che aveva un’importanza vitale. Posto a 2882 mslm, lungo circa 75 metri, largo 2,5 e alto 2, nei secoli era caduto in disuso ma di recente è stato di nuovo reso percorribile e ora è meta di escursioni alpine.
“E Pian della Regina?” chiede.
“Credo solo per assonanza essendo un poco inferiore, infatti il nome uficiale è Pian Melzè”. Eh mi sono documentato io!
Ripartiamo. Dopo un’ora siamo al ponte dove parte il bivio peri Oncino, uno dei tanti paesini arrampicati sulle pendici del Viso, abbiamo fatto cira 8 km.
“Proviamo se riusciamo ad arrivare a Crissolo – dico – saranno 56 km
tanto poi scendere sarà veloce.” “Proviamo” risponde.
Ci aspetta subito un tratto ripido con due tornanti che prendo molto larghi buttandomi all’interno, è la mia tecnica per respirare un attimo. Peò è dura, io poi che non ho mai amato la salita… una lunga tirata senza ombra… ascolto il mio cuore, pare a posto… alcune baite… qualche auto… deviazione per Ciampetti… una vecchia colonia abbandonata… altri due tornanti… deviazione per Ostana e finalmente compare il cartello stradale che indica Crissolo. Siamo a 1140 mslm.
Sono le 10, il contakm ne segna 11,5, un altro km e mezzo e saremo in paese. Potremmo arrivarci ma non saremmo un minuto di sosta neanche per dare un’ occhiata alla bella chiesa di S. Chiaffredo, martire romano patrono della valle, e la cosa non ci par buona eppoi le indicazioni dicono salita al 9,5%, per cui dopo la foto di rito giriamo le bici e scendiamo tranquilli. Mezzora siamo all’albergo, carichiamo le borse sulle bici, beviamo un caffè che ci hanno offerto, ci facciamo fare il timbro e prendiamo la via del ritorno. Sono zone di villeggiatura e in questo periodo molte case si presentano chiuse. Curiose poi le bacheche per i necrologi, grandi pannelli con annunci che sono un quarto dei nostri ma tutti con la foto a colori.
A Sanfront ci fermiamo per una bibita allo stesso baretto di ieri sera. Ci riconoscono e ci chiedono come è andata. Passiamo il Po e prendiamo a sinistra per Revello così vedremo altri posti. E’ una strada in mezzo alla valle, sempre in leggera discesa e non tanto trafficata, l’avremmo risalita senz’altro con meno fatica. Rifreddo, qualche frazione, poi, a mezzodì, Revello ci viene incontro mostrandoci una possente torre. E’ un bel paesone che in passato doveva essere fortificato e si vedono ancora palazzi in stile e ruderi. Nel suo territorio sorge l’abazia di Staffarda, uno dei più grandi, splendidi e importanti monumenti medioevali del Piemonte.
Qualche km e siamo di nuovo a Saluzzo. Alcuni cartelli pubblicizzano la pizza al padellino che deve essere una specialità di qui. Seguiamo la via per Savigliano che ad un certo punto si restringe. Per far passare le macchine mi accosto al marciapiede, troppo vicino così col pedalino tocco il bordo e sbando davanti a un’auto che per fortuna blocca.
Usciamo da Saluzzo imboccando la statale 662, una strada lunga 13 km perfettamente dritta, leggermente in salita, senza una borgata nè una pianta mentre il sole è a perpendicolo e ci sono 30°. Ci accompagnano interminabili filari a frutteto, mele e kiwi, coperti da reti anti grandine. A metà troviamo una pianta e ci fermiamo un poco alla sua ombra. Rubens si spalma per l’ennesima volta la crema. Nè avanti nè dietro si vede la fine del rettifilo.
Un cartello all’ingresso di Savigliano ci informa che questa è la città del pendolino perché qui vengono costruiti quei treni nello stabilimento della Fiat Ferroviaria.
Attraversiamo l’ampia e lastricata piazza del Popolo, un vigile ci indica la strada per la stazione dove arriviamo alle 14.
Pare non possano farci i biglietti per le bici ma poi risolvono. Abbiamo tre quarti d’ora, ovvero tutto il tempo per mettere qualcosa sotto i denti, rinfrescarci un attimo e cambiarci alla toilette a pagamento della stazione. Montiamo sul treno che in 45 minuti ci porta a Torino.
Quindici minuti di attesa sono appena il tempo per fare il biglietto a una macchinetta aiutati da una ferroviera. A Novara sale uno di Lecco che chiacchiera fino a Milano. Traversiamo la città, dritti fino al Castello poi a sinistra. Il treno parte fra mezzora. Alle 20,20 siamo a Cittiglio e poco prima delle 21 siamo a Cuvio, paghi di aver concluso il lungo viaggio sul grande fiume.
Oggi abbiamo fatto 74 km che così diventano in tutto 380, non una lunga maratona, come dicevo all’inizio, però sofferti soprattutto per il caldo che comunque è sempre meglio della pioggia.
Scottature e foruncoli passeranno certamente prima dell’anno prossimo quando decideremo se tornare a Santiago o andare a Roma sulla Via Francigena come i comaschi.
Osteria! Che due tonti… presi com’eravamo a pedalare non abbiamo acquistato nemmeno un ricordino di questo raid –
Nella nostra avventura abbiamo pedalato 3 78 km tra Lombardia e Piemonte, percorrendo nelle sei provincie attraversate km circa: Varese 13 – Milano 25 –
Pavia 75 – Alessandria 45 – Vercelli 30 – Torino 70 – Cuneo 120.