Isole Farne

di Simona Cicorella –

Non è nemmeno l’alba quando ci si sveglia con la promessa di una giornata densa di scatti e di immagini da raccogliere.
Aspettare al porto, dopo la colazione, la barca per raggiungere le isole degli uccelli diventa un’occasione per collezionare, fin dai primi momenti, consigli e indicazioni. Si condividono le esperienze e ciò che si è imparato. È in questi momenti, un attimo prima dell’inizio, che ci si conosce davvero.
Perché in queste circostanze la tecnica è fondamentale, ma l’esperienza acquisita di un occhio “fotografico” è ancora più preziosa.
E prezioso è il contributo dei fotografi che ci accompagnano.

Fisso il cielo. Sono nuvole e nuvole, è spettrale e diafana questa luce, ma mi dicono che è perfetta.
Ricordo di aver avuto una certa dose di confusione – durata più del canonico attimo – nel ripercorrere le regole essenziali e anche se me le sento spiegare e rispiegare con pazienza non sono sicura di averle inquadrate, ma non importa: l’eccitazione per quello che accadrà un momento dopo unisce tutti quanti.

Isole Farne

La navigazione risente delle condizioni del vento, ma la distanza non è lunga e si riesce a sopportare il tragitto durante il quale, nessuno si scoraggia per la difficoltà – l’impaccio dei movimenti, la velocità, il peso della macchina – né si sottrae alla tentazione di rapire qualche istantanea di ciò che ci circonda.
Il sole filtra dalla piatta coltre di nubi e si riflette sull’acqua metallica.
La sequenza di immagini che si presenta a noi è ricca di spunti sempre diversi.
All’improvviso dall’acqua emergono i musi grigi delle foche che, più avanti, rivediamo posate sugli scogli. Un attimo, ad attirare lo sguardo, dopo sono i nidi dei gabbiani sulla ripida parete o i cormorani neri che si stagliano contro luce incuranti degli schizzi delle onde.



Tutto attorno a noi, veloci, atterrano le “pulcinelle di mare”. Sono le prime che vediamo. Le osserviamo, affascinati, spiegare le ali per rallentare e poi quasi correre sulle zampe arancio a pelo dell’acqua per un breve istante, prima di posarsi. Si sprecano le raffiche si scatti.
I fotografi guardano i visori delle loro macchine. Una, due, forse tre si salvano. Controllano, si confrontano.
Li osservo e sorrido. Se non soddisfatti ricominciano. È un rito preciso e metodico, ma nei loro volti, nelle espressioni sorprese o scoraggiate, si legge la stessa cosa: la fame di scoperta. La curiosità che li ha condotti fino a lì, non è che un frammento del bisogno di conquistare questa bellezza e conservala intatta nello scatto.
Non resisto alla tentazione e punto l’obiettivo verso di loro: la loro emozione sarà bella da rivedere.

Isole Farne

La prima isola sulla quale attracchiamo è quella delle pulcinelle di mare, buffi pennuti dal grande becco arancio e l’aria triste.
Si cammina su grossi scogli neri e gialli, una massa di pietre in mezzo alle onde sferzanti dell’oceano.
Il gruppo si dissolve. Ciascuno si sparpaglia e va a caccia.
Lo scatto più ambito è coglierli in volo o mentre si inabissano per la caccia, ma una certa soddisfazione la si ricava, perché no?, anche nel ritrarli con il becco pieno di pesci gocciolanti.
Se sono accovacciati sembrano uova e se sono in gruppo la bicromia del loro piumaggio crea una grande confusione ottica.
Per quanti scatti faccia, non mi sembra di essere mai soddisfatta. Non è abbastanza. Di certo, nella foga imbranata di conquistare immagini, metto in atto una serie di imbarazzanti errori tecnici, ma al momento non ci penso o se ci penso passa in secondo piano.
Perché è allora che si dimentica il vento, il freddo, il sole che non c’è e persino la fatica. Si resta fermi, su due piedi o bloccati in scomode, strategiche pose a ritrarre quasi ogni movimento, ogni percettibile variazione di queste piccole creature, fino a raggiungere la perfetta sincronia con l’attimo stesso.
Capita anche a me, la più scettica tra le scettiche, quella che credeva che la fotografia ornitologica fosse poco interessante.
È una pulcinella con una ricca preda che mi fa capitolare. Il pesce che ha catturato è bello grosso. Restiamo insieme, il fotografo e il suo soggetto, per un tempo incalcolabile. Si sposta piano e mi permette di seguirlo. Le squame azzurrine del pesce, il vento che scompiglia il piumaggio delle zampette e quell’occhio malinconico. Mi sono perdutamente innamorata!
È un dialogo che non necessita di parole. Per un istante, quella creatura mi mostra, attraverso se stessa, la bellezza della Natura, della vita che fluisce in ogni cosa.
Non passo mai un momento a osservare nulla di ciò che mi circonda e ora spendo ogni secondo nell’impresa di catturarlo con una consapevolezza del tutto nuova.
Peccato che il tempo sia volato.
È già ora di rientrare in barca. Non ci credo.

Si riprende l’imbarcazione e ci si muove per qualche minuto.
I fotografi controllano il risultato della loro caccia. Meticolosi, scartano gli scatti sbagliati, sfocati, male esposti, senza soggetto. Se qualcosa lo ritengono davvero ben riuscito, allora lo mostrano. Certo, solo con il computer, quella sera stessa, potranno sincerarsi della bontà del loro lavoro.
Intanto esce qualche raggio di sole. Fa breccia fra le pieghe delle nubi e dove cade incendia i colori, sopiti, di questi luoghi.
La seconda tappa mi preoccupa un po’. Isola è più grande e ospita uno scenario più variegato. C’è un faro bianco – quasi un cliché per un luogo simile, ma ben venga! – schiere di pulcinelle, gabbiani, cormorani e poi ci sono le sterne. Non posso negare che la cosa mi preoccupa.
Il volatile, dicono, attacca per difendere il nido. Sono “feroci” per quanto piccole e starnazzanti. Mi copro la testa con il cappuccio della giacca a vento e mi ripeto non può essere davvero così. Non può.

Isole Farne

Può benissimo! E ne ho la conferma a mie spese quando mi trovo a dover camminare lungo il percorso tra i loro nidi. Sembrano aerei che si alzano in volo pronti a colpire. Nei loro occhi neri, un attimo prima che ti assalgano, rivedi scene salienti del film “Uccelli” e, confesso di averlo pensato, ti domandi cosa diavolo ci fai lì.
Ma anche questa volta, ne vale la pena.
Sono splendide persino nel loro brutale attacco, mentre si librano da terra e puntano il loro rostro arancio contro il malcapitato turista.
Sono ovunque. Una simile concentrazione di animali mi era impensabile. L’avevo immaginata forse solo per i film che raccontano catastrofiche fini del mondo e, invece, ecco stagliarsi contro il cielo gonfio di nubi, nugoli, sciami, di punti neri in continuo movimento.
Quando fissi lo sguardo su un simile spettacolo, lo stupore per tanta unicità e bellezza, ti costringe a trattenere il fiato.
Resti sospeso con l’obbiettivo per aria e se ti domandi: ma sarà sovraesposta con tutta questa luce, l’incanto magnetico della loro danza di guerra (dove il nemico sei tu!) si nutre di ogni brandello della tua attenzione.
Ci si lascia trasportare nel vento. Si incontrano i compagni dispersi. Si scambiano sguardi di intesa complice (vai lì, li ci sono). Ci si allea (la fai volare tu e scatto io!) e poi si ricomincia.
Anche io mi trovo un piccolo angolino.
Sul muro del faro sono tutte in fila, una dopo l’altra si danno il cambio. Arrivano con il becco puntuto stretto attorno alle prede, sottili fili d’argento, piccoli pesciolini.
Nutrono i cuccioli. Pulcini chiassosi e arruffati.
Incessante, il loro impegno: si alzano, si spiumano, spiccano il volo e poi ritornano.
E ogni volta premere il pulsante di scatto, mi dà una piccola scossa elettrica.

Isole Farne

Sulla barca, durante il breve viaggio di rientro, sebbene la fatica inizi a farsi sentire, si resta appesi ancora al filo di quell’energia fatta di puro entusiasmo e curiosità che ci ha mossi alla mattina e sostenuto tutto il giorno.
Attraccare. Il contatto con la terra ferma sotto i piedi, varcare la soglia della stanza, trovare conforto in una doccia calda.
Un breve intermezzo.
Quando usciamo per cena, il cielo non si è ancora arrossato. Come scopriremo presto, il crepuscolo è lento e c’è un castello e una spiaggia oceanica che si prestano a farci consumare ancora qualche scatto.
Riprendiamo le macchine fotografiche. La piccola spedizione si dirige verso le scogliere.
Il cielo è appena trafitto e un’ombra di tramonto risale dalla linea dell’orizzonte.
Ecco che allora si aprono i cavalletti, si issano sugli steli di carbonio gli occhi digitali e si impostano di nuovo le macchine.
L’oscurità si posa su di noi e la predominanza delle ombre viola e blu tingono la sabbia iridescente, la giornata si sta lentamente spegnendo. Le ultime immagini. Ancora una fino a che sarà possibile.
Separarsi è difficile. Ogni scatto è unico al mondo. Irripetibile.
E loro lo sanno. Ancora uno scatto, prima del buio.
Le energie si impiegano fino all’ultima goccia, consapevoli che la notte sarà dedicata ad un sonno profondo per ricaricare il corpo esausto.
Meno male – mi dico mentre mi tiro la coperta fino al naso e mi sistemo nel letto – che domani lo posso fare da capo!


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2 Comments
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stefano
stefano
7 anni fa

periodo del viaggio ?
come ci si arriva ?
grazie stefano