Istanbul, una perla in mezzo alla storia

di Pasquale la Torre –
Un luogo che un tempo rappresentava solo un capitolo di studio, oggi diventa meta di viaggio, interesse per cultura, religione, arte ottomana, tradizione sufi, la letteratura del nobel Orhan Pamuk, il cinema di Ozpetek e Akin. Questi sono i pensieri che accompagnano l’attesa durante il volo, questo è il senso che mi porta in questa città che una volta scompaginava i programmi dei pomeriggi prima delle verifiche su storia e geografia.

E’ sera e Istanbul si presenta nella sua veste notturna: insegne, traffico, vibrazione festiva, strade come arterie dove scorre tumultuosa la vita della metropoli. Mentre avanziamo in auto verso il centro storico, dalle migliaia di case distese sui dorsi delle collinette si vedono finestre aperte e stanze illuminate. A differenza delle nostre città, si ha la sensazione che non ci siano barriere rigide tra il dentro e il fuori, tra il pubblico e il privato.
Con gli occhi ancora pieni di curiosità e il rumore del traffico che ronza nelle orecchie come un sottofondo inevitabile, arriviamo a destinazione nel quartiere Sultanahmet.

La prima alba si apre con l’annuncio del muezzin che proviene dai minareti vicini. E’ un impressione strana, e con il passare delle ore e dei giorni diventa una costante, perché gli echi dei muezzin sparsi per le moschee della città si incrociano per cinque volte nel corso dell’intera giornata.
Attoniti e curiosi muoviamo i passi nell’antico quartiere Sultanahmet, strade in salita per arrivare nelle piazze centrali. Ci avviamo verso l’Università, da quella zona si apre un dedalo di grandi strade che portano nei luoghi strategici del quartiere. Nel passaggio lento e interessato verso ogni angolo suggestivo si osservano vetrine, kebab, mendicanti tra piccioni, gatti furtivi, filobus che sfrecciano testardi, uomini che trascinano carretti, donne vestite in nero a viso coperto, negozianti frenetici e fumatori flemmatici ai bordi del marciapiede.
Il primo spaccato della città che si presenta agli occhi è già indicativo di una megalopoli dove si intrecciano e convivono costumi, religioni e culture differenti.

I primi passi a Istanbul ci portano a Karye Camii. Arriviamo senza problemi dopo aver attraversato qualche strada secondaria. La zona come tutte quelle adiacenti ai monumenti storici è circondata da negozietti di souvenir. Con gli occhi presi dalle attrazioni e con la guida in mano, annoto passaggi interessanti.

Il minareto e il nome stesso dell’edificio prefigurano una moschea. In origine era invece la chiesa di S. Salvatore in Chora. Modifiche successive hanno portato alla costruzione dei quattro pilastri che sostengono la cupola, l’esonartece e il parecclésion sono del XIII secolo. Per allontanare il pericolo dell’assedio ottomano a metà del ‘400, i Greci collocarono nella chiesa un’icona della Vergine, ma Costantinopoli cadde in mano turca e la chiesa convertita in luogo di preghiera musulmano (oggi museo). La decorazione parietale che ha reso celebre questo monumento risale ai primi anni del XIV secolo, è costituita da mosaici a fondo oro e affreschi che impreziosiscono ogni muro della costruzione. Personaggi sacri e scene dall’Antico e dal Nuovo Testamento si ammirano già nei portici che immettono nella navata, a pianta quadrata e coronata da un’ampia cupola. Rivestite di lastre di forma e materiali diversi (marmo, porfido), le pareti della navata anticipano la sontuosità dei muri che si incontrano proseguendo la visita della moschea. L’iconografia contiene la rappresentazione dei tradizionali episodi sulla vita della Vergine e di Cristo.
Nel parecclésion si possono osservare uno splendido Giudizio Universale e scene bibliche come il “roveto ardente”. Gli affreschi dell’abside sono considerati tra i maggiori risultati dell’arte bizantina. Monumentale la decorazione parietale con il Cristo dipinto nella mandorla, il miracolo della resurrezione, Adamo ed Eva fuori dalle loro tombe, i sei Padri della Chiesa e una bellissima immagine della Vergine col Bambino.
Karye Camii è circondata da un ampio giardino, è primavera e il profumo dei fiori avvolge l’atmosfera sospesa che si respira in questi luoghi.

I quartieri antichi di Istanbul rivestono un grande interesse storico e culturale. Sono innumerevoli i monumenti, le moschee, i musei.
Inoltrarsi per le strade che si diramano dalle grandi arterie centrali è un passaggio indispensabile per capire meglio gli aspetti antropologici di Istanbul e dei suoi abitanti.
Si cammina lentamente per stradine, si osserva con disincanto case in legno diroccate, muri scrostati, cespugli capricciosi, paraboliche macchiate di incuria, si respira la vita addensata nei bugigattoli dove si opera in mezzo a polvere e rumore.
Le botteghe artigianali rievocano i borghi dei nostri paesi tanti anni fa: fabbri, falegnami, pelletterie, riparatori di televisori, barbieri, negozietti di alimentari. La sensazione immediata nelle stradine di Istanbul è simile ai ricordi sfumati di un tempo lontano che sa di nostalgia.

In questi angoli defilati della metropoli è facile vedere ragazzi che giocano liberi, donne in nero filare la lana, fruttivendoli vocianti, occhi scuri che osservano curiosi. Quando si resta per qualche minuto a guardare i contorni del luogo è facile sentirsi invitare in quelle nude osterie a bere un tè: la gentilezza può essere discreta o un pretesto per vendere la propria merce.
In questi spazi della città la vita pullula di commercio e attività e lavoro e suoni arabeggianti e profumo di zenzero e di cumino.

La sera, quando la luna emerge tra i minareti che punzecchiano il crepuscolo è il momento giusto per vedere la Moschea Blu senza flotte di turisti agitati. E’ il momento migliore per perdersi nella grandezza delle sue cupole, nell’inconfondibile leggerezza del colore, nel silenzio che avvolge la sensazione di un abbraccio celeste.



Ci troviamo in uno dei più importanti monumenti del periodo Ottomano, la Moschea del Sultano Ahmet è chiamata anche Moschea Blu per le oltre 20.000 mattonelle blu di Iznik che decorano l’interno. La sua particolarità è evidente rispetto ad altre costruzioni islamiche, per i sei minareti e le dimensioni eccezionali.
All’uscita di questo gioiello architettonico, simbolo inconfondibile di Istanbul, l’atmosfera del viaggio assume un carattere più solido e pregnante.
Occhi nuovi osservano smarriti il fascino della Moschea Blu dalla Piazza dell’Ippodromo Questa piazza a forma rettangolare nell’antichità era uno stadio costruito da Settimio Severo nel II secolo e poteva accogliere circa 100.000 spettatori.
Tre colonne si trovano sulla piazza: il terzo superiore di un obelisco egiziano che all’origine misurava 60 metri fu installato da Teodosio I, la colonna serpentina che proviene dal tempio di Apollo di Delfi in Grecia fu stabilita dopo la vittoria delle città greche contro i persiani nel -479. Di questa colonna rimane solo una parte dell’insieme di serpenti mescolati, una testa si trova nel museo archeologico. L’ altra colonna è chiamata “colonna di Costantino”.

Intanto la notte affonda come pece nelle viscere della città, le locande soffiano odore di carne. E’ giunto il momento per assaporare i kebab tipici della Turchia a base di pollo o agnello.

Il tempo scorre tra la magia del viaggio e la prospettiva di nuove attrazioni.
Santa Sofia si mostra nella sua veste classica: circondata da un brulichio incessante di turisti che avanzano a gruppi, intatta nel suo stile.
La “basilica d’oro” di Santa Sapienza (Aya Sofia), sorge sulla stessa piazza della Moschea Blu, è il simbolo della storia millenaria di Istanbul.
Per costruire la chiesa destinata a diventare il centro del potere religioso dell’Impero Bizantino, Giustiniano, nel VI secolo fece impiegare i materiali più preziosi, innalzò una cupola imponente e la fece rivestire di mosaici d’oro e pietre preziose.
Per molti secoli Aya Sofya fu considerata un modello di grandezza e sfarzo. Il 29 maggio 1453, Mehmet II conquistò Costantinopoli e la Megale Ecclesia venne trasformata in moschea, mentre i suoi favolosi mosaici furono in parte distrutti dalla furia iconoclasta.
Nella mente densa di immagini rimane impressa la grandezza severa dei medaglioni più grandi al mondo che circondano l’interno della basilica.

Uno dei luoghi più suggestivi e curiosi di Istanbul è senza dubbio Cisterna basilica. Si tratta di un sotterraneo distribuito su 10 mila metri quadrati dove si cammina su passerelle aeree in mezzo a

meravigliose colonne e giochi di luci. Nell’antichità questa enorme stanza era completamente riempita d’acqua e serviva come serbatoio (trenta milioni di litri d’acqua) in caso d’assedio oppure in occasione di un eventuale distruzione dell’acquedotto di Valente.
La Cisterna Basilica (Yerebatan Saray) fu costruita ai tempi dell’Imperatore Giustiniano I nel 6° secolo d.c., quando i Romani scavarono una gigantesca buca fonda 25 metri e costruirono questa cisterna di 138 x 64 metri con 336 colonne. All’interno dell’area si possono ammirare le teste della Medusa caratterizzate da un particolare curioso: sono state concepite a “testa in giù”. Subito dopo le prime scale che portano nel sotterraneo una ventata di fresco scuote dal torpore afoso che si annida nelle strade affollate di auto e di gente. Tra le fitte colonne, il gocciolio incessante, i riflessi delle luci nell’acqua, emerge il contrasto tra senso di sicurezza e smarrimento: la grande riserva d’acqua come simbolo di sopravvivenza insieme all’ombrosità tenebrosa del sottosuolo.

Un tappa utile per comprendere il percorso storico e le tradizioni della Turchia è il Museo di arti islamiche. Discrezione, ordine e silenzio aleggiano tra le pareti dove sono affissi numerosi quadri. I passi avanzano lentamente verso un percorso di immagini antiche: tende nel deserto, tappeti decorati, donne che filano la lana, visi scavati dal sole, e ancora, anfore, vasi, calici, lanterne laminate in oro, incisioni su ceramica. Il museo non ha dimensioni vaste, ma rappresenta un ulteriore viaggio in quel tempo che ha plasmato le forme della modernità.

…………Istanbul è anche mare. La città è divisa in due parti dallo stretto del Bosforo che separa i continenti Asiatico ed Europeo. Prima di salire sul traghetto attraversiamo il ponte Galata investiti da un fiume di uomini, di donne e bambini che si affrettano per il sottopassaggio. Gli spazi stretti sono invasi da commercianti ambulanti, per le strade del mercato adiacente al porto urla indistinte di venditori sovrastano il ritmo già frenetico della zona. Nelle bancarelle allineate sulla strada interna si vendono arachidi, keci peyniri (formaggio turco), gusci di melanzane secche, verdure e frutta.
Defilato in un angolo del mercato un pescatore dal viso bruciato, con aria tranquilla e fatale, affetta un pesce di grosso calibro. Tra lische feroci, sangue e odore di mare, il cammino avanza verso il traghetto dove i passeggeri affondano gli ultimi bocconi di panino con sgombro grigliato.

Un vento rapido sferza il viso, disturba la posizione, gonfia le camice, spettina i capelli, rinfresca la luce che avvolge i ponti in acciaio e le rive del Bosforo. E mentre il traghetto taglia le onde maldestre, la riva assume un aspetto meno urbano. Palazzi sontuosi e ville, casette a schiera immerse nel verde, pinete e prati pettinati, sfilano nel paesaggio marino. Dall’imbarcazione si osserva in tutta la sua eleganza Dolmabahçe, il primo palazzo di stile europeo costruito dal Sultano Abdul Mejid I tra il 1843 e il 1856. Attualmente è adibito a museo che ripercorre la storia dell’Impero ottomano e della nuova repubblica.
Mustafa Kemal Ataturk, fondatore e primo presidente della Turchia, passò gli ultimi anni della sua vita in questa dimora e morì il 10 novembre del 1938 in una stanza che è parte del museo.
Sulla prospettiva divisa dalle due opposte rive Istanbul appare diversa. Minareti e ormeggi, baracche e palazzoni, nuvole bianche e spuma di mare si sciolgono in uno scenario armonico al di la della prua, dove giovani amanti sperimentano un romantico abbraccio.

Il viaggio avanza. I giorni passano nell’incedere continuo per le strade di città, le moschee, i luoghi più importanti come il palazzo Topkapi (porta del cannone). Questo importante museo, situato sul promontorio del Serraglio tra il Corno d’Oro e il mar di Marmara, per quattrocento anni fu residenza e palazzo del governo durante l’Impero Ottomano. La costruzione fu terminata nel 1465. Il palazzo con le sue tre enormi corti è circondato da 1400 metri di mura che lo separano dal resto della città. In tempi antichi Topkapi era a tutti gli effetti una città nella città dove Sultano, concubine ed eunuchi trascorrevano l’intera vita isolati dagli altri cittadini All’interno del palazzo i luoghi di particolare rilievo sono l’Hagia Irene museum, il padiglione delle Ceramiche, la Torre della Giustizia, le sacre reliquie dell’Islam, il museo dei tesori e l’Harem.

Il Gran bazar invece è l’anima del commercio a dettaglio. Si può accedere attraverso diverse entrate, l’interno è un dedalo di sessantuno strade coperte che si intersecano come un labirinto.
Si possono ammirare e acquistare oggetti di manifattura turca, gioielli, lampade, candele, monili in argento, souvenir, ceramica, onice, pelle, tappeti. ai bordi dei negozietti gli uomini bevono tè, ascoltano musica e si industriano al meglio nel loro microcosmo.
Nelle vicine adiacenze ci sono vicoli stretti e piazzette chiuse, si può mangiare un simit (ciambella di pane dolce) insieme a una spremuta fresca di melograno senza quella frenesia epilettica che accompagna i giorni di routine di lavoro. L’atmosfera è pacata, in un angolo, uomini di ogni età fumano narghilè, l’odore dolciastro si diffonde a strati mentre un accenno di pioggia incombe sulla città.

Dopo aver superato i grandi viali, quando la prospettiva si chiude tra i minareti, la sera si spegne su un’ immagine di drammatica bellezza, madre e una figlia dormono con la mano tesa a fare l’elemosina.

Oltre il ponte Galata la città assume un aspetto diverso. I palazzi eleganti in stile europeo, i marchi internazionali sulle grandi vetrine, la moda sfoggiata nei locali più in voga, offrono un respiro diverso dal quartiere Sultanahmet. Il primo monumento che richiama l’attenzione è la torre di Galata. In tempo di guerra da questa postazione si poteva bloccare con uno sbarramento di fuoco

l’accesso al Corno d’Oro. La torre fu distrutta durante la quarta crociata e ricostruita dai genovesi come Torre di Cristo, ed è sopravvissuta fino ai nostri giorni.

Istanbul è un viaggio nella storia, la narrazione di un crocevia di civiltà e di drammi che si sono avvicendati nel tempo. Il suo fascino è racchiuso nei minareti al tramonto, nei monumenti storici, nei paesaggi distesi sul Bosforo, nel suono di flauto che riecheggia nei vicoli, negli annunci dei muezzin, nello spaccato umano di una città dove convivono culture diverse.
Istanbul è anche il luogo dell’anima dove opposte polarità si incontrano in un abbraccio senza tempo.

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