di Giovanni Colnaghi –
La nostra destinazione di viaggio ci costringe per la prima volta ad una transvolata atlantica. Quest’anno, infatti, abbiamo rinunciato al nostro consueto appuntamento con le terre d’Asia e d’Africa, in favore delle Americhe; più precisamente in favore di Messico e Guatemala. Fra le numerose proposte dei cataloghi, la nostra scelta è ricaduta sul programma di viaggio di Mistral, il tour operator che ci ha accompagnati in Cina lo scorso anno, rivelandosi una piacevolissima sorpresa, che, fra l’altro, è uno dei pochissimi operatori ad organizzare viaggi in esclusiva in quella parte del mondo (normalmente i concorrenti raggruppano i propri clienti con quelli di altri, ripartendo su più persone il costo dei servizi).
Anche questa volta l’organizzazione è stata impeccabile, nonostante il periodo pasquale non c’è stato intoppo alcuno e se c’è stato, nessuno di noi se n’è reso conto.
Il viaggio in breve: il viaggio si è svolto nel periodo 9/23 marzo 2008. Pernottamenti a Città del Messico, San Cristòbal de Las Casas, Panajachel, Antigua, Città del Guatemala, Flores, Palenque, Campéche, Mérida e Cancun. Vettore aereo internazionale: Iberia, nota compagnia di bandiera spagnola, i cui servizi a bordo, però, sono più simili a quelli di una compagnia “low cost”.
9 marzo. Finalmente è giunto il giorno della partenza e anche questa volta, quasi fosse la prima volta, siamo assaliti da quel familiare miscuglio di eccitazione ed emozione per l’avventura che ci attende. Giungiamo a Fiumicino con largo anticipo e alle 08:00 saliamo sull’aereo per Madrid, da dove ci imbarcheremo sull’A340 con destinazione Città del Messico. Il volo è lungo (più di 17 ore), ma, grazie alle sette ore di differenza di fuso orario, atterriamo nel capoluogo messicano che è ancora pomeriggio, anziché notte fonda. Facciamo la conoscenza di Claudia, la nostra prima guida che è venuta a riceverci all’aeroporto. E’ una ragazza abbastanza “in carne”, per utilizzare un eufemismo, simpatica, molto preparata e con ottima conoscenza della nostra lingua. Ci accompagna all’hotel, in pieno centro città, e, dopo averci comunicato il programma di domani, ci lascia liberi per la serata. Fiorella (mia moglie) ed io resistiamo al desiderio di avventurarci per le vie della città per un primo approccio con il capoluogo messicano, concordiamo (è raro, ma a volte capita) che forse è meglio riposarci; domani iniziano le visite vere e proprie e avremo modo di vedere tante cose e di “macinare” chilometri a piedi (in questo tipo di viaggi succede sempre così). Decidiamo anche di rinunciare alla cena, e la serata termina con doccia e sonno ristoratore.
10 marzo. Appena svegli il nostro primo pensiero è di far colazione. La sala da pranzo, che fortunatamente apre alle 05:30, è occupata quasi esclusivamente dai nostri compagni di viaggio che, come noi, devono essere affamatissimi. Il buffet è ricco ed invitante ed io mi “abbuffo” di dolci, mentre Fiorella, con pari entusiasmo, rivolge la propria attenzione alla frutta esotica. A onor del vero anche i nostri compagni non sono da meno. Sospetto che la ragione di tutto quest’appetito dipende dall’altezza (Città del Messico si trova a circa 2.300 metri sul livello del mare). O no?
Sono le 07:00 e la mia signora, vista l’ora propizia (in Italia sono circa le 14:00), decide di telefonare ai figli per tranquillizzarli sulla nostra integrità fisica. Personalmente dubito che siano in ansia per noi; ieri mattina, quando ci siamo chiusi la porta di casa alle spalle, sono certo di aver udito lo scoppio di un tappo di spumante.
I nostri compagni di viaggio sono radunati sul marciapiede antistante l’hotel, è l’occasione giusta per cominciare a fare la loro conoscenza, in fin dei conti li ho solo intravisti ieri sera e poco fa a colazione. La prima impressione è confortante, siamo in sedici, né troppi né troppo pochi; inoltre sembrano tutte persone socievoli e simpatiche.
Puntualissima Claudia ci raggiunge a bordo di un bel pullman gran turismo da 50 posti, saliamo tutti a bordo e ufficialmente viene dato inizio al tour.
Ci fermiamo dopo un solo quarto d’ora di viaggio per visitare le vestigia azteche del Templo Mayor, un cumulo di macerie, nemmeno tanto antiche, che difficilmente possono suscitare entusiasmo in chi, come mia moglie ed io, proviene da Roma.
La sosta successiva è anch’essa dopo pochi chilometri, al complesso di chiese edificate in onore di Nostra Signora di Guadalupe. E’ interessante vedere tanti edifici costruiti in stili diversi, alcuni dei quali, i più antichi, stanno affondando perché eretti su terreno paludoso senza aver adottato particolari accorgimenti.
La prossima sosta è di tipo commerciale. Ci fermiamo dove distillano la Tequila, il notissimo liquore messicano, per vederne le modalità di produzione e, eventualmente, per acquistarne. Anche se non ho comprato nulla, devo ammettere che la visita è stata stimolante. La Tequila è ricavata dalla distillazione di un liquido prodotto da una pianta tropicale: l’Agave. Quel liquido, che bevuto così ha un sapore disgustoso, avrebbe anche delle proprietà curative. Ovviamente ci hanno offerto del liquore e, infine, ci hanno portati al reparto vendite dove qualcuno ha cominciato ad incrementare la bilancia commerciale messicana.
E’ quasi l’ora di pranzo, ma abbiamo ancora il tempo per una sosta in un luogo dove viene lavorata l’ossidiana, un materiale vetroso che si forma con il rapido raffreddamento della lava. La zona dove ci troviamo, nei pressi di Teotihuacan, è ricchissima di giacimenti di ossidiana, e gli artigiani che ho visto all’opera sono abilissimi nel modellarla. Fiorella ed io ci siamo innamorati di una testa del dio sole, finemente lavorata, che concordemente (è già la seconda volta che accade. Ci sarà da preoccuparsi?) abbiamo deciso di acquistare.
Il pullman sosta nell’ampio cortile del vicino ristorante, mi sento eccitato per il primo appuntamento con la cucina messicana; l’arte culinaria è uno degli aspetti della cultura di un popolo che tanto mi intriga. Varchiamo la porta del ristorante e al’ingresso ci sono due giovani signori in costume Azteco (?), credo. Siamo piacevolmente sorpresi della cosa e tutti, come cretini, ci accalchiamo per le fotografie di rito. Ora che sono in me, giuro solennemente di non guardare più con commiserazione i turisti che a Roma si fotografano accanto ai “centurioni”. Evidentemente quando siamo razionali ne ridiamo di queste ingenuità, ma quando siamo turisti…. è tutta un’altra cosa.
In Messico, ma come vedremo anche in Guatemala, in luogo dell’italianissima pastasciutta è servita una zuppa che può essere di carne, o di pesce o di verdura, ma sempre gradevole. Dopo la zuppa di norma vengono servite tortilla, carni di maiale, o di pollo, o di manzo ecc. ecc. In ogni caso, tutti i piatti sono molto speziati e piccanti, per la gioia dei palati mio e di Fiorella.
Ovviamente per allietare la tavolata non potevano mancare i mariachi, nei loro abiti coloratissimi e l’immancabile sombrero, ad interpretare le loro piacevoli musiche messicane per turisti (Cielito lindo, La cucaracha, Guadalajara ecc. ecc.). Beh! E’ innegabile che tutto ciò dà allegria.
Nel pomeriggio è prevista una visita all’antica città di Teotihuacan, che dista pochi minuti dal ristorante. Il sole è alto nel cielo e la temperatura, nonostante gli oltre 2.000 metri di quota, supera abbondantemente i trenta gradi. Con quell’intorpidimento che ti assale dopo un lauto pranzo, non è piacevole pensare di camminare sotto la calura, ma questo è il duro lavoro del turista. Arrivati al sito la sonnolenza scompare come per miracolo per lasciare posto allo stupore. Il complesso, in eccellente stato di conservazione, copre una vastissima area. Due grandi piramidi svettano sopra le rovine: la piramide del Sole (la più grande) e quella della Luna, dalla quale si diparte il lunghissimo viale dei morti, a lato del quale si trovavano le abitazioni dei cittadini, alcune piattaforme e dei templi. Sembra che la città, all’epoca una delle più grandi del mondo, contasse circa duecentomila abitanti. Nonostante ciò nessuno sa da chi sia stata edificata (forse i Toltechi) e i motivi del suo declino e della sua fine. Al termine della visita rientriamo a Città del Messico per la cena ed il pernottamento.
11 marzo. Anche questa mattina siamo tutti puntualissimi all’appuntamento con Claudia, che ci aggiorna sul programma odierno: in mattinata visita al Museo nazionale di antropologia, quindi pranzo in un noto ristorante messicano e nel pomeriggio è la volta della visita del centro città con la sua Cattedrale metropolitana ed il Palazzo nazionale.
Davanti alla biglietteria del museo c’è una fila chilometrica composta da centinaia di scolari, gente del luogo e turisti; d’altro canto questo museo rappresenta la più ricca e straordinaria collezione di reperti e opere d’arte delle civiltà precolombiane. Meno male che i gruppi organizzati godono di un non meglio specificato diritto di precedenza ed entriamo immediatamente scavalcando tutti.
Chi mi conosce sa che non mi entusiasmo a visitare un museo, non mi affascinano gli oggetti, ancorché unici e bellissimi, estrapolati dal loro contesto originario e chiusi in una teca di cristallo, anche se, ovviamente, comprendo la necessità di ciò. Il museo è moderno e molto vasto, ci sono tantissime sale dove Claudia, davvero preparata, si sofferma diverso tempo per fornire le dovute informazioni. Dopo un paio d’ore mi stanco ed esco nel giardino del museo dove c’è una vasca piena di tartarughe ed un piacevole sole non ancora troppo caldo. La visita termina verso le 13:00 e dopo pochi minuti facciamo il nostro ingresso nel ristorante ubicato all’ultimo piano di un palazzo che si affaccia sulla piazza della Constitucion, chiamata anche Zocalo, una delle piazze più grandi del mondo. Il cibo è squisito e il panorama ne è degno contorno.
Soddisfatte le nostre necessità nutrizionali, scendiamo a far due passi in piazza dove, peraltro, ci sono anche le nostre due mete pomeridiane.
Il palazzo nazionale, che è sede del potere esecutivo federale, è un enorme palazzo del quale possiamo visitare solo un’ala, dove le pareti sono decorate da coloratissimi murales dell’artista Diego Rivera. Claudia su ogni dipinto si sofferma una quindicina di minuti per descrivere, con dovizia di particolari, non solo gli aspetti artistici, ma anche le tematiche sociali delle quali sono intrise le opere dell’artista.
Ultima visita è alla Cattedrale che ha una caratteristica inconfondibile: il suo color fumé dovuto alle esalazioni dello smog. All’interno della chiesa, ciò che più mi colpisce sono delle sculture lignee ricoperte da una foglia d’oro, di indubbia bellezza.
Al termine delle visite il pullman ci riporta in hotel per la cena ed il pernottamento.
12 marzo. Dopo colazione ci imbarchiamo sul volo di linea per Tuxtla Gutierrz, capoluogo dello stato messicano del Chiapas, che raggiungiamo verso metà mattinata. Qui un altro pullman e un’altra guida, questa volta un uomo sulla quarantacinquina di nome Phelipe, vengono a riceverci per accompagnarci all’imbarcadero della ridente cittadina di Chiapa de Corzo sulle rive del rio Grijlva. Indossato un salvagente saliamo a bordo di una lancia dai motori potentissimi che parte all’impazzata verso il canyon del Sumidero. Questo spettacolo della natura è una fenditura tra le montagne con pareti verticali, in alcuni punti alte anche mille metri, che incombono minacciose sul fiume che stiamo navigando. Mi sento una formica dinnanzi a tanta manifestazione di potenza, ma sono affascinato anche dall’impressionante varietà di flora e di fauna che abita questo luogo. A volte il nostro marinaio rallenta repentinamente per mostrarci qualche animale particolare, magari un coccodrillo che solo lui riesce a individuare da decine di metri di distanza e a quella velocità. No! Anche a noi è sorto il dubbio sull’autenticità degli avvistamenti, ma quando ci siamo avvicinati alla riva per disturbare con un lungo bastone uno di questi esemplari, ci siamo resi conto con paura che non si trattava di un animale impagliato. L’escursione è durata un paio d’ore ed è stata elettrizzante, ma ha avuto un effetto collaterale; ogni parte esposta del nostro corpo si è ustionata per il sole cocente.
Pranziamo in un localino caratteristico e quindi riprendiamo il nostro cammino verso San Cristòbal de las Casas. Anche il nuovo pullman è da cinquanta posti e l’autista deve far ricorso a tutta la sua abilità per guidare su una strada piena di curve, tornanti e dossi artificiali. Phelipe, la guida, è un gran chiacchierone, molto sveglio e simpatico. Dopo pochi minuti in sua compagnia sappiamo tutto della sua vita privata (o almeno ciò che vuole farci sapere). Ha una voce molto bella ed è intonato e, essendone consapevole, spesso intona piacevoli melodie messicane. Ovviamente sa fare molto bene il proprio lavoro, le informazioni turistiche che ci fornisce sono comprensibili, esaustive ed esposte in modo avvincente. Intuisce quando è il momento buono per lasciarci riposare e quando, al contrario, abbiamo necessità di una sferzata di dinamismo. Insomma, una guida 10 e lode. Impieghiamo circa tre ore a coprire gli 85 kilometri che separano la nostra destinazione dal canyon e arriviamo davanti all’hotel che è pomeriggio inoltrato. Stasera la cena è libera e la serata altrettanto. L’hotel è molto bello, ma un po’ lontano dal centro del paese quindi impieghiamo il tempo a nostra disposizione per un sopralluogo al vicino supermercato; non sarà una visita estremamente culturale, ma perlomeno scrutiamo uno spicchio di vita reale di questa popolazione. La merce in vendita non è molto dissimile da quella che troviamo nei nostri supermercati, ma i prezzi sono molto più bassi. Ne approfittiamo per comperare una confezione di crema solare che, incautamente, abbiamo dimenticato a casa. Non vogliamo allontanarci neppure per la cena e in hotel ci facciamo servire due “bisteccone” di carne argentina, innaffiate da un discreto vino rosso californiano.
13 marzo. La mattinata è destinata alla visita di due comunità maya: Zinacantan e San Juan Chamula. Il primo paesino è accogliente, la popolazione vive prevalentemente di artigianato e di agricoltura. La vita sembra scorrere serena. Mentre Fiorella si dedica agli acquisti presso le numerose bancarelle, io do sfogo alla mia passione: la fotografia. Ho scoperto che nel gruppo non sono il solo a coltivare quest’hobby, c’è anche Roberto, un single bolognese un po’ timido, che scambia poche parole solo con me e mia moglie. E’ sempre con la macchina fotografica in mano e ad oggi ha già utilizzato 35 rullini (non ho capito perché non passa al digitale).
Terminata la visita di questo grazioso paesino, risaliamo sul pullman per raggiungere la seconda comunità. Come sempre Phelipe approfitta dei tempi di percorrenza per anticiparci alcune informazioni utili su ciò che stiamo per vedere e oggi quel che ci racconta non mi piace per niente. Sembrerebbe che in questo paese gli uomini passino la giornata ad ubriacarsi in una chiesa sconsacrata, con la scusa di partecipare a riti cruenti con spargimento di sangue animale e, appunto, ingurgitando abbondanti sorsate di liquore. Alle donne spetta lavorare per mantenere la famiglia, sbrigare i lavori domestici, prendere botte dal marito e soggiacere alle sue voglie e, dulcis in fundo, tenere sempre con sé i figli, anche di pochi anni, perché quando il marito torna completamente ubriaco, cerca di “farsi” tutto ciò che è animato. So che un turista è tenuto ad essere acritico sugli usi e i costumi dei luoghi che visita, ma questa volta non riesco a reprimere un senso di odio e repulsione verso costoro e non nascondo di aver provato un briciolo di compiacimento quando Phelipe ci ha detto che, a causa dell’alcol, la vita media dei maschi di San Juan non raggiunge i quarant’anni. Infine, con un’espressione stranamente seria ed accorata, si è raccomandato di non fotografare i cosiddetti ministri della chiesa, riconoscibili dal giubbotto di pecora senza maniche che indossano. Nel timore che la fotocamera possa carpire loro l’anima, la loro reazione potrebbe essere imprevedibile e, certamente, non piacevole.
Giungiamo sulla piazza del paese gremita di gente e sullo sfondo vedo la chiesa. Grazie alla mia posizione soprelevata posso fotografarla senza inquadrare chi non devo. Nonostante tutto chiedo parere a Phelipe che acconsente. Appena scattata la fotografia sono avvicinato da uno di quei signori con il giubbotto di pecora, che chiede di vedere l’immagine acquisita quindi, tranquillizzato, se ne va. Capperi! Ha riconosciuto che il modello è digitale e a colpo sicuro ha indicato il display. Bah!
Alcuni del gruppo entrano in chiesa, altri si guardano intorno a disagio. Effettivamente la gente non ha sguardi di benevolenza nei nostri confronti, siamo e ci fanno sentire degli intrusi. Sto pensando che non vedo l’ora di andarmene, quando avverto un brusio che si fa sempre più forte e vedo la piazza che si agita. E’ gente del luogo che sta indicando la terrazza di un bar alle mie spalle. Guardo in quella direzione senza vedere nulla, ma incrocio lo sguardo preoccupato di Phelipe. Improvvisamente il brusio si fa urlo e una folla inferocita di uomini dall’espressione inebetita per il troppo alcol, si dirige correndo verso il bar. Non capisco cosa succede, ma vedo Phelipe precipitarsi nella direzione della folla. Evidentemente è qualcosa che ci riguarda. Quando il bar è zeppo, in piazza sembra scendere la calma; solo qualche esagitato, con passo malfermo, viene verso di noi sbraitando qualcosa di incomprensibile e additando la fotocamera. Non so che fare; decido di ignorarli e mi lasciano in pace. Dopo dieci minuti abbiamo avuto conferma che il responsabile di tutto è Roberto, il compagno di viaggio bolognese, che ha cercato qualche scatto vietato al riparo di una tenda sul balcone. Ora è intrappolato dentro al bar, per il momento ancora incolume, mentre Phelipe sta parlamentando con uno dei capi. C’è voluto tempo per giungere a un accordo e dopo non meno di un’ora sono stati rilasciati. Roberto se l’è cavata con il sequestro di tutti i rullini di cui era in possesso, Phelipe con qualche bottiglia di liquore e tutto il gruppo con una grossa paura. Rientriamo a San Cristòbal, che visiteremo nel pomeriggio, e pranziamo in un ottimo ristorante all’aperto.
San Cristòbal è un paesino davvero grazioso, bell’esempio di architettura coloniale. Piccoli edifici coloratissimi fiancheggiano viuzze rette, ricche di negozietti che espongono i variopinti prodotti dell’artigianato locale. In una di queste viuzze, infatti, sono sparite quasi tutte le donne del gruppo, salvo poi vederle rispuntare da un negozio di chincaglieria, con aria soddisfatta e le mani occupate da vari pacchettini. La cosa non mi preoccupa e anche gli altri mariti mi sembrano sereni; qui in Messico, fortuna vuole, c’è abbondanza di oggettini, souvenir e bigiotteria varia, ma anche acquistando qualche chilo di questa robetta, la spesa difficilmente supera i cinque euro. San Cristòbal non è ricco solo di negozi, ma vi è anche abbondanza di chiese. Nel raggio di cinquecento metri ne ho contate almeno quattro. Tutte squisitamente decorate e vivacemente colorate, per la gioia dei nostri obiettivi fotografici.
Poiché la cena di questa sera è libera, Phelipe si offre di organizzarci una festicciola in un ristorante di sua conoscenza, invitando un gruppo di mariachi suoi amici e chiusura della serata a base di “tequila bum bum”. Sappiamo che parte delle entrate delle guide è data da queste iniziative fuori programma, comunque accettiamo di buon grado l’offerta.
Mai scelta fu più saggia; con meno di venti euro a persona abbiamo passato una serata divertentissima mangiando cibo prelibato nel più rinomato ristorante locale.
14 marzo. Oggi giornata di trasferimento in Guatemala. Prima di lasciare San Cristòbal visitiamo il cimitero locale. Pochi minuti solo per ammirare la curiosa architettura sepolcrale. Alcune tombe assomigliano ad un castello con torri merlate, altre hanno l’aspetto di ville hollywoodiane in miniatura e così via.
Mi sistemo comodamente in pullman dove passeremo buona parte della giornata. L’autista imbocca la Panamericana per dirigersi verso La Mesilla, posto di frontiera con il Guatemala. La Panamericana è la strada che attraversa tutto il continente americano da nord a sud e, almeno in questo tratto messicano, è un fastidiosissimo susseguirsi di dossi artificiali limitatori di velocità. Il paesaggio è bello e variegato, scendiamo in pianura per poi risalire a oltre 2.000 metri e quindi ridiscendere nuovamente in pianura. Dal finestrino vedo scorrere boschi, dirupi, prati, corsi d’acqua e cascate. Ci fermiamo proprio quando l’autonomia delle nostre vesciche è giunta al limite. Le donne sono le più veloci nella corsa al WC. Il locale dove siamo prenotati è un capanno con il tetto in paglia, sotto al quale troneggia un lungo tavolo in legno. Nonostante l’apparenza ci viene servito un cibo gustoso. Il pranzo di oggi nel programma Mistral, è definito come: “pranzo al sacco”.
E’ il primo pomeriggio quando giungiamo al posto di frontiera. Phelipe si assicura che dall’altra parte del confine sia già arrivata la guida guatemalteca, disbriga le formalità, affida i nostri bagagli a dei facchini locali e quindi si congeda. Noi lo salutiamo con un arrivederci, infatti ci rivedremo tra pochi giorni al nostro rientro in Messico.
Sceso dal pullman sono investito da un’aria torrida; certamente la temperatura supera di molto i quaranta gradi. Per raggiungere il Guatemala dobbiamo percorrere per circa due chilometri un polveroso sentiero accidentato che attraversa la “terra di nessuno”, costeggiato da una miriade di bancarelle; insomma, una specie di Duty Free. Numerosissime sono le persone che percorrono nei due sensi questa striscia di terra; mai vista tanta variopinta umanità in un singolo luogo. Raggiungiamo la nostra meta e la nuova guida, Mosè, che sistema le pratiche della nostra immigrazione. Sembrerà strano, ma quella odierna è un’avventura che mi è piaciuta moltissimo e che certamente rappresenterà uno dei ricordi indelebili di questo viaggio. Controlliamo che tutti i nostri bagagli siano caricati sul nuovo pullman e a nostra volta ci accomodiamo al riparo dal caldo insopportabile. Ci vogliono ancora diverse ore per raggiungere Panajachel, la nostra destinazione sul lago Atitlan e Mosè ci consiglia di riposare. Non mi faccio pregare e cado in un sonno profondo, dal quale vengo svegliato in serata al nostro arrivo a destinazione.
15 marzo. Lasciamo l’hotel di Panajachel che è davvero caratteristico, certamente è stato ricavato ammodernando una vecchia struttura. Le mura esterne sono completamente ricoperte da una pianta rampicante. Le stanze sono amplissime e ben arredate e vanta una cucina superba. Con la barca, sul lago posto a circa 1.500 metri sul livello del mare, circondato da tre vulcani attivi, andiamo a visitare la comunità di San Antonio Palopo. In questa comunità le persone sono molto abituate ai turisti; ho avuto modo di constatare che i guatemaltechi sono poco propensi a farsi fotografare, mentre a San Antonio la popolazione ne ha fatto una professione. Tanti sono i bambini che popolano la comunità; prevalentemente femmine. In Messico non mi era sfuggito il fatto che fossero pochi i maschietti che si vedevano e Phelipe mi ha confermato che la cosa costituisce effettivamente un problema, l’80% dei nuovi nati è di sesso femminile. Evidentemente anche il Guatemala soffre del medesimo problema. Comunque sia i bambini messicani che i guatemaltechi sono molto belli, occhioni e capelli nerissimi e lineamenti molto delicati. Anche le donne potrebbero essere belle, ma il genere di vita che conducono le fa invecchiare precocemente.
Torniamo a Panajachel e ripartiamo immediatamente per Antigua che raggiungiamo verso l’ora di pranzo. Il pullman sosta nella piazza della Cattedrale, dove fervono i preparativi per le imminenti festività pasquali, per scaricare i nostri bagagli prima di accompagnarci al ristorante.
Anche Antigua è una cittadina in stile coloniale, a mio avviso, però, più graziosa e caratteristica di San Cristòbal. Sorge all’ombra dell’imponente vulcano Agua che negli anni ha creato non pochi problemi. In passato è stata una delle mete preferite dai cosiddetti “figli dei fiori” e a ben pensarci, se fossi un hippy, mi ci trasferirei anch’io.
Dopo pranzo passeggiamo per le vie della città; le donne, come al solito, si dedicano al loro sport preferito e anch’io ne approfitto per cercare di fare acquisti, vorrei acquistare dei francobolli, ma sembrano introvabili. Qui i tabaccai non esistono; i negozi dove vendono cartoline non ne hanno, dai giornalai nemmeno parlarne e allora…. dove trovarli? Mosè mi spiega che i francobolli si trovano solo all’ufficio postale perché qui hanno un valore non insignificante. Un francobollo costa quasi come in Italia, ma qui la vita costa dieci volte meno che da noi. Alla fine riesco a comprare una ventina di francobolli con i quali affranco le cartoline che, c’era da sospettarlo, non sono mai giunte a destinazione.
16 marzo. Giornata di trasferimento a Città del Guatemala. Durante il trasferimento sosteremo a Chichicastenango per visitare il suo notissimo e folcloristico mercato domenicale.
Lasciamo Antigua di prima mattina e dopo circa un’ora e mezza ci fermiamo al posto di controllo anti “spaccio di prodotti ortofrutticoli”. Sembra buffo, invece la cosa è seria. Il Guatemala è diviso in ventidue dipartimenti amministrativi e, al fine di evitare possibili infestazioni, è severamente vietato portare determinati tipi di frutta e verdura da un dipartimento all’altro, onde evitare che con i prodotti possano passare anche eventuali parassiti. Tutti vengono fermati e controllati severamente, a testimonianza di quanto sia fondamentale la produzione agricola per questo paese.
Finalmente giungiamo a Chichicastenango. Prima ancora di entrare nel centro abitato, a titolo di anticipazione di ciò che ci aspetta, notiamo un frenetico andirivieni di mezzi di trasporto carichi sino all’inverosimile di uomini e merci. Ci raduniamo in un ristorante dove Mosè ci indica quali sono le vie interessate dal mercato e ci fissa un appuntamento per l’ora di pranzo proprio in questo locale. Sul pullman ci aveva anticipato che il mercato, prevalentemente di prodotti d’artigianato locale (oggetti di paglia e in legno, tessuti, bigiotteria, ecc. ecc.), si tiene ogni giovedì ed ogni domenica (ndr: oggi è domenica) e che, probabilmente, è il più frequentato dell’intero Guatemala. Fiorella ed io ci tuffiamo in questa fiumana umana e a “passo di bradipo” raggiungiamo la chiesa di Santo Tomas, ove si celebrano riti cristiano-pagani. Per tutta la strada mia moglie è tallonata da una ragazza molto carina, intenzionata a venderle una stuoia in lana coloratissima e molto ben realizzata, ma non c’è accordo sul prezzo, che si trova solo giunti davanti al ristorante, dopo oltre un’ora di trattativa. In compenso acquistiamo cinque stuoie a un sesto di quanto inizialmente richiesto.
Certamente non è il caso di venirci appositamente a Chichicastenango, oltre al mercato il nulla, ma se per caso ci si trova nelle vicinanze, una visita è certamente dovuta.
Dopo pranzo ripartiamo in direzione di Guatemala City che raggiungiamo in serata. Qui dobbiamo solo pernottare e Mosè ci sconsiglia accoratamente di uscire per le vie della città dove, sembrerebbe, c’è ancora la “cattiva abitudine” di sequestrare i turisti.
17 marzo. La guida ci viene a prendere alle sette in punto per accompagnarci a prendere il volo per Flores. L’aeroporto da dove decolliamo è piccolo e non vi sono formalità d’imbarco. Anche l’aereo è piccolino, tipo quello tragicamente scomparso un paio di mesi fa nelle acque Venezuelane, e dal gruppo sento mormorii di preoccupazione. Salutiamo Mosè, che se ne torna a casa, tranquillizzo Fiorella che si è lasciata suggestionare dai commenti dei compagni di viaggio, e ci godiamo un eccellente volo di un’oretta, serviti e riveriti alla perfezione.
A riceverci a Flores c’è Fernando, la nostra nuova guida che, dopo una veloce sosta in hotel per posare i bagagli, ci accompagna immediatamente a Tikal.
Tikal è la più grande delle antiche città Maya guatemalteche. A un certo punto diventò il principale centro di potere della zona, dopo di che, misteriosamente, cadde in declino e venne abbandonata. Le rovine sono completamente immerse nelle foresta del Peten e per gran parte devono ancora essere portate alla luce. Camminiamo seguendo i sentieri ricavati nella fitta vegetazione e attorno a noi udiamo il verso degli animali che vivono questi luoghi: scimmie urlatrici, tucani, pappagalli, giaguari ecc. ecc. Giungiamo in uno spiazzo in cui sorgono diverse costruzioni, la più evidente è l’altissimo tempio del giaguaro. Pranziamo all’interno del Parco nazionale di Tikal, sotto una grande tettoia in paglia e lunghe panche ai lati di tavoli in legno, circondati da alberi d’alto fusto. La giornata è calda e umida, abbiamo camminato tanto per sentieri non propriamente comodi e ora ci fa piacere indugiare ancora un po’ in questa quiete. Alcuni alberi sono di dimensioni realmente impressionanti e fra le fronde riesco ad individuare grandi nidi di non so quale specie di volatili.
Riposati ritorniamo nella foresta per andare a vedere ciò che la guida ha definito “sorpresa”. Dopo una mezzoretta di cammino arriviamo alla base di un edificio altissimo, la cui sommità è raggiungibile con l’ausilio di una ripida scalinata in legno, all’uopo predisposta. La salita è faticosa, ma lo spettacolo del quale si può godere da quassù è ripagante. Sopra un mare di verde che si estende a perdita d’occhio, svettano due alti edifici costruiti dai Maya, chissà con quali mezzi, migliaia di anni fa.
Ritorniamo il hotel stanchi ma appagati. Ora noto una cosa che stamattina, al nostro arrivo, mi era sfuggita. Flores sorge su un’isola al centro di un lago ed è collegata alla terra ferma da un ponte; caratteristica! Mangiamo e andiamo a letto di corsa, il sonno non si farà certo attendere.
18 marzo. Oggi ritorno in Messico. Puntuali saliamo sul pullman che ci condurrà al posto di dogana guatemalteco. Imbocchiamo una bella strada asfaltata che, col passar del tempo, diventa strada bianca e polverosa e, quindi, poco più che sentiero. Da oltre un’ora non vediamo esseri umani quando, finalmente, scorgiamo un’isolata capanna, è il posto di dogana. Fernando si occupa delle formalità doganali e, risaliti in pullman, ci inoltriamo nella terra di nessuno. Dopo una decina di minuti giungiamo in riva a un grande fiume, sugli argini del quale intravediamo qualche baracca e diverse persone vocianti, probabilmente attendono noi. I nostri bagagli, infatti, vengono affidati a dei baldi giovanotti del luogo, che li caricano su due barche, mentre noi, salutato Fernando, saliamo su altre due barche. Il fiume che stiamo navigando si chiama Usumacinta e per circa 200 km. costituisce il confine fra Messico e Guatemala. In pratica la riva alla nostra destra è terra guatemalteca e quella alla nostra sinistra è messicana, ma la dogana del Messico che dobbiamo raggiungere, si trova ad oltre due ore di navigazione. Due ore stupende, su un fiume meraviglioso che, come una cicatrice, taglia l’intricata foresta del Peten la quale, a sua volta, dalle basse rive allunga i suoi rami, quasi a voler inglobare il fiume stesso. Attorno un concerto di versi d’animali a noi sconosciuti. Il sole alto nel cielo è reso sopportabile dalla fresca brezza che ci investe. Quando arriviamo a un centinaio di metri dal punto d’approdo, vedo a riva una figura che si sbraccia, è Phelipe. Ci accoglie con il solito immancabile sorriso e subito provvede a far caricare i bagagli sul pullman. La prossima visita è al piccolo sito archeologico di Yaxchilan. Il sito è raggiungibile solo via aria o via fiume, nei pressi del quale è situato, e questo per noi è un piacere, possiamo in tal modo continuare la nostra gita in barca. Yaxchilan è un po’ fuori dalle rotte turistiche, ma è davvero un gioiellino. I sentieri per raggiungerlo sono meno curati di quelli di Tikal e ciò rende il posto ancor più piacevolmente selvaggio. Meno frequentatori equivale a maggiori animali presenti. Si avvertono molti inquietanti fruscii provenire dal folto della foresta. Accecato dal riverbero del sole fra le fronde, ho fotografato ciò che ritenevo una scimmia su un albero, ma riguardando le fotografie non sembra affatto un primate, qualcuno ha interpretato la sagoma come quella di un grosso felino. Per oggi le visite sono finite e, soddisfatti dell’intensa giornata, ci facciamo accompagnare in hotel a Palenque.
19 marzo. Oggi altra giornata intensa. Alle otto in punto di mattina ci troviamo già al cospetto di uno di quegli spettacoli che solo madre natura è in grado di rappresentare, le famose cascate di Agua Azul, che devono il nome al loro colore cristallino. Le acque sbucano impetuose dal folto della foresta per tuffarsi, dopo diversi salti, in una tranquilla pozza nella quale alcuni visitatori si sono già immersi, completamente vestiti, per trovare un po’ di refrigerio.
Nonostante il fragore incessante, mi sento in pace e godo dello spettacolo, degli odori e dei rumori che sollecitano così intensamente i miei sensi. L’unico rumore innaturale è quello delle numerose fotocamere che tentano, senza successo, di catturare ciò che solo i nostri occhi sono in grado apprezzare pienamente. Seguo il sentiero che risale le cascate sin dove è possibile arrivare e ad ogni angolo, dopo ogni crinale, dopo ogni curva, lo spettacolo che mi si presenta è sempre nuovo ed entusiasmante. Il tempo a nostra disposizione è quasi finito e ci incamminiamo verso il punto di ritrovo, senza rinunciare a dare uno sguardo alle numerose bancarelle che espongono degli oggettini davvero carini, che diventeranno souvenir per le persone a noi più care.
La nostra prossima meta è il sito archeologico di Palenque, un altro insediamento maya, anch’esso misteriosamente abbandonato già molto tempo prima dell’arrivo dei colonizzatori spagnoli. Il sito non è grandissimo, ma vi sono delle opere di sconcertante bellezza che spuntano dalla rigogliosa vegetazione. Pranziamo in loco e nel primo pomeriggio ripartiamo per Campeche, una graziosissima cittadina che si affaccia sul Golfo del Messico, che merita di essere visitata. La gente sembra essere allegra; ad ogni angolo di strada c’è qualche orchestrina che intona ritmi latini, ai quali è impossibile negare un involontario passo di danza. Assolutamente imperdibile la stupenda Cattedrale di nostra signora della immacolata concezione.
20 marzo. Lasciamo Campeche per dirigerci verso il sito di Uxmal che, con Palenque e Chichen Itza, rappresenta l’apogeo della civiltà maya; il complesso è ricco di templi, piramidi e splendidi palazzi, questi ultimi dalle facciate decorate da meravigliosi fregi in stucco. Il cielo è coperto e la giornata afosa, con queste condizioni atmosferiche mi è difficile apprezzare più di tanto ciò che vedo. Probabilmente dipenderà dalla stanchezza accumulata, ma come sempre, verso la fine di ogni viaggio, comincia a manifestarsi un briciolo di nostalgia per casa e gli affetti lasciati. Nel pomeriggio il pullman ci accompagna a Mérida, ex capitale dello stato federato dello Yucatan.
21 marzo. D’accordo con Phelipe stravolgiamo il programma odierno che prevede la visita di Chichen Itza nel primo pomeriggio. Oggi è il 21 marzo, equinozio di primavera, e in determinate ore del giorno un lato della piramide del Castillo proietta un’ombra simile a un serpente che sale sulla scalinata. Questo fenomeno è un immenso richiamo anche per i messicani che affollano all’inverosimile il sito. Se vogliamo riuscire a vedere qualcosa, è bene arrivare di prima mattina. Il sito è il più famoso dell’intero Messico anche se a me sembra più “finto” di quelli visitati sin’ora. Più finto nel senso che forse i restauratori sono intervenuti troppo pesantemente. La più famosa piramide messicana sembra stata edificata il mese scorso. Nella mia ignoranza in materia, ho apprezzato di più il “Tempio dei Guerrieri”, il “campo da gioco della palla”, “el Caracol” che, perlomeno, dimostrano i loro anni. E’ quasi l’ora di pranzo e la gente sta arrivando a frotte per non mancare all’appuntamento con l’ombra. Sono quasi tutti vestiti di bianco e questo , ci dice Phelipe, per assorbire maggiormente l’energia vitale del sole. Dopo aver pranzato in un caratteristico locale accanto ai reperti, partiamo per Cancun, sul favoloso mar dei Caraibi, da dove domattina prenderemo il nostro volo per l’Italia.
Diario di viaggio di
Giovanni Colnaghi
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