“Il senso del viaggio: un percorso attraverso la storia del viaggio e la psicologia del viaggiatore”
Percorrendo a grandi passi la storia del viaggio, tra le pagine di questo lavoro si incontrano popoli nomadi, eroi dei miti più antichi, filosofi, mercanti, navigatori, pellegrini, cavalieri erranti, studiosi, esploratori, poeti, scienziati, artigiani, ricchi nobili e poveri disoccupati, scrittori e cantanti, turisti globetrotter e motociclisti stile Easy Rider.
Toccando le vite dei grandi viaggiatori e attraversando diverse epoche storiche, questo lavoro vuole scoprire se c’è qualcosa che accomuna tutti coloro che fanno del viaggio non solo il loro sogno, ma anche la propria realtà. Dipingendo l’identità del viaggiatore, si scopre che cosa accade in una personalità quando lascia le proprie sicurezze per andare alla ricerca del nuovo, quali emozioni accompagnano chi si mette in cammino, perché viaggiare può essere un mezzo di crescita e formazione personale. Attraverso il percorso storico e l’analisi psicologica, si cerca il significato di una delle attività più antiche e più amate dall’uomo e si va alla scoperta del senso del viaggio.
How many roads must a man walk down,
before you can call him a man?
(Bob Dylan, Blowin’ in the Wind)
Introduzione
Perché l’uomo viaggia?
Ogni uomo va alla ricerca della propria felicità: c’è chi la cerca nella stabilità di una casa, chi nelle soddisfazioni di un lavoro, chi nella fede; c’è chi cerca la felicità dentro se stesso e chi vive per gli altri. E c’è chi viaggia.
Veniamo inondati di consigli sul dove, ma poco o nulla ci viene domandato circa il come e il perché del nostro andare. Eppure l’arte di viaggiare pone una serie di interrogativi nient’affatto semplici o banali, e il cui studio potrebbe modestamente contribuire alla comprensione di ciò che i filosofi greci indicavano con la bella espressione eudaimonia, ovvero felicità.
(Alain de Botton,2002)
Ma il viaggio può donare felicità?
La strada, fatta di polvere, asfalto o fango.può davvero essere una strada che porta il viaggiatore prima alla scoperta del mondo e poi di se stesso? Perché alcuni sentono il bisogno, irrefrenabile, di partire? Di che cosa vanno in cerca? Che cosa li spinge ad abbandonare le abitudini e le sicurezze della propria casa, per andare alla scoperta del mondo?
I cieli girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta, stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l’aria è in perpetua agitata dai venti, le acque crescono e calano.per insegnarci che dovremmo essere sempre in movimento.
(Robert Burton, 1951)
L’impulso a viaggiare è irrefrenabile, fa parte della natura umana, è una passione che divora e arricchisce allo stesso tempo, come il desiderio della felicità. Gli innumerevoli scopi del viaggiare si intrecciano e non sempre sono chiari per chi resta, ma spesso neppure per chi parte.
C’è l’irrequietezza, che è bisogno di conoscere cose sempre nuove, far spaziare lo sguardo, perdersi nell’immensità del mondo:
mi svegliai una mattina mezzo cieco. L’oculista disse che guasti organici non c’erano. Forse mi ero sforzato troppo a guardar quadri? E se avessi provato orizzonti più vasti?
(Bruce Chatwin, 1996)
Con un telegramma inviato al Sundey Times, dove lavorava, Chatwin dà così inizio al suo primo grande viaggio: “Sono andato in Patagonia”.
C’è il coraggio di lasciare le proprie sicurezze, che poi può essere anche necessità di lasciare una quotidianità che soffoca. E’ l’ horreur du domicil di Baudelaire:
Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!
(Charles-Pierre Baudelaire)
C’è il bisogno di conoscenza, la voglia di scoprire ed imparare:
Ecco perché il Piccolo Principe aveva dovuto lasciare la sua stella e la sua rosa. Per prendere a poco a poco conoscenza.
(Antoine de Saint-Exupérie, 1943)
Ma perché è più interessante ciò che è lontano? Perché non è sufficiente conoscere il proprio mondo?
Quelle cose per conoscere le quali ci mettiamo in cammino e attraversiamo il mare, se sono poste sotto i nostri occhi non ce ne curiamo.
(Plinio il Giovane)
Forse perché viaggiare permette di conoscere gli altri, ed attraverso gli altri, se stessi. Permette di scoprire alternative inimmaginate, di svincolarsi dai lacci dei sistemi sociali, basati sulla fissità della persona, sulla sua continuità ed immutabilità, considerate come garanzia di onestà e di carattere: le società fanno pressione sugli individui ad essere “una cosa sola”. Ma l’identità umana è mutevole e molteplice.
Lo scarto tra l’immagine che gli altri hanno di una persona e quella che lei ha di se stessa, tra quello che è nella realtà e quello che vorrebbe essere, è lo spazio in cui prende vita il desiderio del viaggio.
Per trovare la libertà, bisogna uscire dalla struttura di un unico sistema e capire altre culture: è la possibilità di scegliere i modi in cui dare senso alla propria vita che permette di essere liberi. E’ la libertà di credere in se stessi, nei propri sogni, come fa il gabbiano Jonathan Livingston:
Altro che far la spola tutto il giorno, altro che la monotonia del tran-tran quotidiano sulla scia dei battelli da pesca! Noi avremo una nuova ragione di vita. Ci solleveremo dalle tenebre dell’ignoranza, ci accorgeremo d’essere creature di grande intelligenza e abilità. Saremo liberi! Impareremo a volare!
(Richard Bach, 1970)
E all’inizio di un viaggio spesso c’è un sogno: un nome che stimola la fantasia, un richiamo della strada, delle montagne, del mare, del deserto.
Capii che ci sono viaggi che scegliamo noi, e che ce ne sono altri dai quali veniamo scelti.
(Bruce Feiler, 2001)
Solo facendo quel viaggio, si capirà perché lo si doveva fare, e si darà voce ad una parte di sé che chiede di venir fuori. E se qualche volta è difficile partire, le abitudini, il dovere, gli impegni, la mancanza di tempo, il dubbio, le aspettative della altre persone. sembrano ostacoli insormontabili, non dimentichiamo che
C’è solo una cosa peggiore del viaggiare, ed è il non viaggiare affatto.
(Oscar Wilde)
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